Effetto Covid sul lavoro: 100 milioni di persone dovranno cambiarlo

25-03-2021 | In evidenza in HP, News

Un lavoratore su 16 sarà costretto a cambiare lavoro entro i prossimi dieci anni. Il fenomeno investirà oltre 100 milioni di persone in otto paesi che rappresentano più della metà del PIL globale (62%): Cina, Francia, Germania, India, Giappone, Spagna, UK e USA. Pur mancando l’Italia, i numeri elaborati dal report “The future of work after COVID-19” del McKinsey Global Institute offrono spunti di riflessione utili per capire come la pandemia impatterà nel lungo periodo sui lavoratori. Una precisazione è d’obbligo: non si scopre oggi, a causa del coronavirus, che nei prossimi anni ci sarebbero stati mutamenti nel mondo dell’occupazione. La pandemia, tuttavia, li ha accentuati, soprattutto nelle economie avanzate, dove l’incremento del numero di persone che saranno costrette a cambiare mestiere è salita del 25% rispetto ai dati pre-covid. Nei mesi scorsi abbiamo ragionato di nuovi scenari per il mondo del lavoro anche in un podcast con Davide Dattoli, fondatore di Talent Garden (clicca qui per riascoltarlo).

Rischio aumento per le disuguaglianze di genere

Nuove tecnologie, automazione, industria 4.0 ed esplosione dell’e-commerce riserveranno senz’altro nuovi posti di lavoro per professionisti, che dovranno mescolare più tipi di competenze per far fronte alle esigenze di un mercato in fase di transizione. D’altra parte, come ha rilevato il report del McKinsey Global Institute, il rischio dei prossimi anni, quando l’emergenza sanitaria sarà oramai superata, è che le disuguaglianze di genere peggiorino le condizioni di chi già oggi subisce i colpi più duri della recessione. In paesi come Francia, Germania e Spagna la possibilità che si debba cambiare lavoro come effetto dei mutamenti accelerati dal Covid 19 sarà quattro volte più alta per le donne che per gli uomini. Scenario a cui in parte stiamo già assistendo: su 100mila persone che hanno perso il lavoro in Italia il 98% è donna come ha rilevato l’Istat nei mesi scorsi. Allo stesso modo si confermerà il ruolo determinante dell’istruzione: lauree e specializzazioni fungeranno da protezione rispetto agli impatti futuri.

Più casa e meno ufficio: lo vuole un dipendente su quattro

Andando a guardare poi gli scenari e le opportunità che aziende e paesi hanno di fronte, il McKinsey Global Institute non poteva non citare il peso che ancora avrà lo smart working. All’inizio dell’emergenza, questa nuova modalità di lavorare è stata una mutazione repentina e necessaria per contrastare il coronavirus e ridurre le occasioni di contagio. Ma una volta terminata l’emergenza cosa orienterà le scelte di chi guida le imprese? Il report ha calcolato che il 25% della forza lavoro potrebbe lavorare da casa dai tre ai cinque giorni a settimana senza intaccare in alcun modo la produttività. Il risultato è il frutto di una ricerca che l’istituto ha condotto su 800 tipi di lavoro diversi negli otto paesi esaminati dalla ricerca e prendendo in esame 8mila task. Tra gli effetti di questo trend è inevitabile quello sugli spostamenti: si viaggerà di meno per lavoro (-20% di business travel per le compagnie aeree, che perderanno il ramo più redditizio dei propri introiti) e l’ufficio non sarà più l’unico punto di riferimento. Senza per forza guardare agli esempi estremi di Spotify e Twitter – che hanno già sposato lo smart working a tempo indeterminato per tutti i propri dipendenti – il McKinsey Global Institute ha raccolto le opinioni di quasi 300 dirigenti da tutto il mondo, i quali hanno annunciato che gli uffici ridurranno i propri spazi anche del 30%.

Alessandro Di Stefano

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