Scenari di guerra e pace

30-03-2023 | News

Riflessioni sugli scenari futuri al 2050, tra globalizzazione e frammentazione.

Di fronte agli eventi di questi mesi, è crescente l’inquietudine dell’opinione pubblica per quanto potrebbe accadere a breve, ma anche a medio e lungo termine. Un’inquietudine che riguarda una nuova e possibile pandemia, oppure l’innalzamento dei mari e la desertificazione di zone oggi con clima temperato, o addirittura una guerra nucleare. Su quest’ultimo punto, un interessante articolo di Donato Speroni, uscito nella rivista “Futuri” analizza le prospettive al 2050 nei rapporti tra Stati e nei metodi per risolvere i conflitti, sulla base dell’evoluzione del contesto ambientale e sociale e delle tecnologie. Speroni applica al tema il metodo dei “tre scenari”: quello sostenibile, fortemente legato al rispetto dei principi dell’Agenda 2030 dell’Onu sottoscritta da 193 Paesi nel 2015 e dei suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile; quello (o sarebbe meglio dire “quelli”, perché molte cose possono andare storte) di collasso della civiltà e aumento della violenza tra Stati, gruppi sociali e persone; infine uno scenario intermedio di business as usual, che di fatto degrada il Pianeta e le condizioni di vita dell’umanità.

Il primo è uno scenario di pace, forse raggiunta attraverso gravi traumi, come accadde per la nascita dell’Onu e l’intensificarsi della cooperazione multilaterale dopo la Seconda guerra mondiale; il secondo è imprevedibile perché può comportare portare guerre totali, catastrofi nucleari, nuove armi di distruzione di massa; il terzo, quello più probabile scarica i problemi sulle future generazioni, quando probabilmente molti valori, bellezze e ricchezze biologiche della Terra saranno ormai perdute. Su tutto questo però grava un’incognita: l’umanità sarà ancora arbitra dei suoi destini o a seguito dei suoi molteplici fallimenti avrà revocato l’onere delle scelte ai tavoli di governo e ai campi di battaglia per consegnarle all’Intelligenza artificiale?

Quanto avviene di questi tempi porta a una possibile, anche se strana riflessione: siamo avviati verso un mondo crescentemente globalizzato eppure allo stesso tempo crescentemente frammentato? Una crescente globalizzazione in un mondo più frammentato può sembrare un ossimoro per cui va spiegato. La guerra di Putin non ha l’obiettivo di conquistare qualche centinaio di chilometri quadrati ma di contrastare il modello occidentale economico, politico ed economico, e fino a un certo punto anche religioso rappresentato da Stati Uniti ed Europa, più alcuni altri paesi come il Giappone, la Corea o l’Australia.

La Cina ha grandi obiettivi egemonici e ha a grandi linee lo stesso obiettivo della Russia, anche se è cauta a non compromettere i propri interessi nel farlo. Medie potenze, che crescono e dominano localmente grazie a una popolazione giovane e a una tecnologia disponibile e sempre più potente, con in primo luogo l’intelligenza artificiale, stanno perdendo l’allineamento con il modello composto dalla combinazione di economia di mercato e democrazia politica e sono tentate da un modello diverso, dove l’economia è più controllata e la democrazia più limitata. Sono paesi come India, Brasile, Sud Africa, Arabia Saudita, Nigeria, Indonesia, lo stesso Iran. E molti paesi meno avanzati possono essere crescentemente tentati dall’allontanarsi dalla formula capitalistica occidentale per sperimentare un modello diverso.

Diverso da cosa? Da un assetto globale dove basta la crisi di liquidità di una banca non tra le maggiori per scatenare una crisi finanziaria. Dove 5-10 grandi aziende tecnologicamente dominanti hanno una capitalizzazione di mercato superiore a tutte le altre messe insieme. Dove i costi del cambiamento climatico sono attribuiti a chi ha generato il problema nei passati 200 anni e non altrettanto a chi ha iniziato da poco a contribuirvi. E dove in una crisi sanitaria i costi e i benefici sono malamente ripartiti a causa di un sistema troppo dipendente da capacità finanziaria, brevettuale e innovativa.

L’idea di Fukuyama dell’inevitabile trionfo della società occidentale è stata una pericolosa illusione. Quello che abbiamo davanti è un possibile cambiamento epocale che porta alla vera fine dell’era del colonialismo e dell’imperialismo. Non si tratta del ritorno dell’altrettanto pericolosa illusione comunista, ma di una possibile adesione di paesi collocati in varie parti del mondo a un modello politico economico e sociale diverso da quello che ha dominato per molti secoli e che è sopravvissuto fino ad oggi sapendosi sempre rinnovare malgrado le crisi cicliche che provoca in tutto il mondo. Potrebbe non succedere in questo prossimo futuro, ma dobbiamo chiederci se la prospettiva di un mondo più globalizzato e più frammentato non sia il vero rischio cui stiamo andando incontro.

(Foto di UX Gun su Unsplash)

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