Le conseguenze economiche della guerra

15-06-2022 | In evidenza in HP, News

di Rony Hamaui

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia non è certamente una guerra mondiale. È invece una guerra con indubbie conseguenze economiche e geopolitiche planetarie, che nessun altro conflitto negli ultimi 75 anni ha provocato. Dalla Seconda Guerra Mondiale, infatti, nessuno scontro regionale, dalla guerra in Corea a quella in Vietnam, da quella in Iraq a quella in Siria, ha avuto un impatto così rilevante sulla crescita mondiale, l’inflazione, il commercio, ma anche le relazioni internazionali.    

A livello economico la revisione dei tassi di crescita fatta recentemente dal FMI nell’ultimo numero dell’World Economic Outlook permette di stimare a poco meno di un triliardo di dollari la perdita del Pil mondiale nei prossimi due anni. Questa sarà per un quarto subita dalla Russia, un altro quarto dai Paesi dell’Unione Europea, un sesto dagli Stati Uniti e la rimanente parte dal resto del mondo. In particolare, l’Italia vedrà ridotta la sua crescita di circa 45 miliardi di dollari, pari a due punti percentuale del Pil. Alcuni Paesi forti produttori di materie prime, quali l’Argentina, il Brasile, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi ecc. trarranno, invece, benefici in termini di crescita. 

In altre parole, gli effetti di breve periodo della guerra sullo sviluppo appaiono ampiamente asimmetrici e la Russia, al di là delle polemiche sulla relativa efficacia delle sanzioni, subirà solo una piccola percentuale dei costi che il mondo dovrà patire. Ovviamente le perdite in termini relativi del Pil dei due belligeranti, Ucraina e Russia, saranno molto più alte di quelle di qualsiasi altro Paese: rispettivamente del 35% e del 16% in due anni. 

La guerra avrà anche pesanti effetti in termini di minore commercio internazionale e maggiore inflazione. Anche in questo caso gli effetti saranno asimmetrici poiché colpiranno di più i Paesi in via di sviluppo rispetto a quelli avanzati. I primi vedranno ridursi in due anni il proprio export del 3,2% e aumentare i prezzi al consumo del 4,6%, i secondi di meno della metà.

Se gli effetti in termini di minor crescita fanno ancora fatica a farsi sentire, quelli sull’inflazione sono già ben visibili. Questo perché l’aumento delle materie prime si è subito scaricato sui costi della benzina e del gasolio, mentre gli effetti della minor crescita hanno tempi di gestazione più lunghi. Inoltre, la guerra è arrivata in un momento di forte ripresa economica, se non di surriscaldamento, che almeno negli Stati Uniti aveva già innescato una spirale prezzi-salari. Infine, dalle due parti dell’Atlantico le politiche fiscali espansive non hanno finito di esercitare i loro effetti, mentre la liquidità rimane ancora abbondante poiché le banche centrali hanno appena iniziato a stringere i cordoni della borsa.      

La guerra porterà anche ad un aumento della spesa pubblica sia per il processo di riarmo che essa ha innescato sia per gli aiuti che dovranno essere forniti alla popolazione Ucraina, a numerosi Paesi in via di sviluppo che andranno in crisi e a vasti ceti della popolazione dei Paesi avanzati che subiranno gli effetti del maggiore costo delle materie prime. Quasi tutti i Paesi hanno già disposto sussidi all’acquisto della benzina e di altre materie prime, mentre gli Stati Uniti hanno finora stanziato la cifra record di 13,6 miliardi di dollari di aiuti all’Ucraina. 

Stime recenti valutano che i danni subiti dall’Ucraina ammontino a 600 miliardi di dollari e che il Paese abbia bisogno di 5 miliardi al mese di aiuti per sopravvivere. Questa maggiore spesa pubblica in parte andrà ad attenuare gli effetti recessivi prima descritti ma, soprattutto, favorirà in maniera asimmetrica alcuni settori economici rispetto ad altri. Si pensi a quello degli armamenti, dell’energia, dell’agricoltura e della siderurgia, solo per fare qualche esempio. 

A questi costi materiali vanno aggiunti quelli umani, provocati da migliaia di morti, feriti, persone costrette ad emigrare e stress, che ha colpito gli individui sia nei Paesi coinvolti direttamente sia in quelli interessati indirettamente nel conflitto. Sulla base di alcuni dati provvisori, un recente lavoro di Dan Ciuriak (“The Economic Consequences of Russia’s War on Ukraine”, 29 March 2022), utilizzando parametri standard del valore statistico della vita, ha stimato tali costi in non meno di sei trilioni.  

Tuttavia, quello che più può preoccupare sono le conseguenze economiche della pace, per parafrasare il famoso libro di Keynes scritto nel 1919 dopo la Prima Guerra Mondiale. Finita la fase più cruenta della guerra, ed è probabile che questo momento non sia troppo lontano perché Putin ha un forte bisogno di dichiarare la vittoria e non può eccedere nel pagarne i costi, quale ordine economico verrà a stabilirsi? Alcuni commentatori hanno ipotizzato che: 

  1. il mondo piomberà in una nuova “guerra fredda”, dove oltre la “cortina di ferro” non starà più l’Unione Sovietica ma l’Unione russo-cinese; 
  2. la globalizzazione finirà e a prevalere sarà un nuovo più rassicurante regionalismo commerciale; 
  3. le numerose organizzazioni internazionali, nate dopo la Seconda Guerra Mondiale, che in questa fase hanno giocato solo un ruolo di comprimarie, saranno destinate a scomparire così come i G8/20; 
  4. la teoria della stagnazione secolare, sinora sposata da uno sparuto numero di economisti, avrà la meglio in un mondo dove la mobilità delle merci e dei fattori è più ridotta e l’allocazione delle risorse è meno efficiente.

Alla base di queste ipotesi sta la durezza dei toni utilizzati dall’amministrazione americana, che ha avuto la necessità di mandare dei chiari messaggi soprattutto alla Cina, oltre a un più generale sentimento di empatia del mondo occidentale alla causa ucraina. Tuttavia, dopo una prima fase di assestamento gli elementi di continuità nell’ordine internazionale potrebbero prevalere e gli aggiustamenti dovrebbero essere meno catastrofici di quelli oggi ipotizzati. La storia, in fondo, ci insegna che spesso gli uomini sono ben disposti a dimenticare velocemente gli orrori delle guerre, mentre le ragioni economiche finiscono per prevalere, soprattutto in un mondo dove le ideologie sono quasi del tutto scomparse. 

Certo è possibile che i danni della guerra provochino l’insorgere di regimi totalitari, come era successo dopo la Prima Guerra Mondiale, ma quella era appunto un conflitto mondiale che aveva lasciato sul terreno oltre 15 milioni di morti e 20 milioni di feriti.

Rony Hamaui è presidente di Intesa Sanpaolo ForValue e professore a contratto presso l’Università Cattolica di Milano. È Segretario dell’Associazione per gli Studi Banca e Borsa (ASSBB), consigliere del CDEC e di Assifact. È stato direttore Generale di Mediocredito e amministratore delegato di Mediofactoring. Ha ricoperto numerosi incarichi presso il gruppo Intesa Sanpaolo. È stato responsabile del Servizio studi della Banca Commerciale Italiana, professore a contratto presso l’Università di Bergamo e l’Università Bocconi. È autore di numerosi articoli scientifici e ha scritto e curato diversi libri riguardanti gli intermediari e i mercati finanziari internazionali nonché la finanza islamica. Questo articolo è stato pubblicato il 26 aprile su La voce.info.

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