La rapida diminuzione dei costi di lancio e nuove flotte di satelliti stanno aprendo grosse opportunità per molte aziende in molti Paesi. Con interessanti prospettive, ma anche molti rischi.
di Matthew Weinzierl e Prithwiraj (Raj) Choudhoury
Nei primi anni Duemila, quando il programma spaziale americano imperniato sullo shuttle veniva ridimensionato, la politica del governo USA ha abbandonato il modello tradizionale che attribuiva tutte le risorse finanziarie e tutte le decisioni alla NASA e al Dipartimento della Difesa.
Invece, il Governo ha consentito ad aziende private di competere sugli appalti pubblici. Il programma Commercial Orbital Transportation Service (comunemente detto COTS) e quelli seguenti hanno, per esempio, assegnato ad aziende private delle commesse a prezzo fisso, al posto delle commesse a margine garantito che si usavano storicamente nel settore spaziale, per il rifornimento della International Space Station.
Quella novità ha favorito la crescita di aziende specializzate nel lancio di missili spaziali come Blue Origin, Sierra Space e SpaceX, che hanno sfruttato i progressi intervenuti negli ultimi decenni nella microelettronica e nell’informatica per abbassare i costi di lancio dei satelliti (il carico più comune) rendendoli più piccoli, più leggeri e più potenti. Oggi lanciare un satellite con il vettore Falcon Heavy di SpaceX costa meno dell’8% di quello che costava fino al 2000, ossia prima che le aziende private venissero invitate a competere. E le previsioni per il prossimo veicolo di SpaceX, Starship, viaggiano nettamente al di sotto dei dieci milioni di dollari. Stiamo parlando di una capacità di carico di 150 tonnellate metriche, che potrebbero abbassare i costi per chilogrammo a meno di 100 dollari.
Nello stesso tempo, la proliferazione degli smartphone e di altri dispositivi connessi ai satelliti ha fatto crescere sensibilmente la domanda di questi ultimi. Jeff Bezos (che ha fondato Blue Origin) e Elon Musk (che ha fondato SpaceX) hanno costruito la loro ricchezza personale sui nuovi settori creati dai progressi tecnologici e adesso forniscono capitale di finanziamento abbondante e paziente alle loro start-up spaziali.
Ma i milionari non hanno questo business tutto per sé. Ci sono entrate in forze anche le società di venture capital con investimenti complessivi che, stando alla società di consulenza specializzata Bryce-Tech, sono passati da meno di un miliardo di dollari nei primi anni Duemila a più di 15 miliardi di dollari nel 2021. Quei capitali hanno contribuito a finanziare più di 100 start-up che stanno sviluppando razzi più piccoli in grado di fornire servizi di lancio su misura – piazzando per esempio dei satelliti in posizioni orbitali prestabilite e rendendo lo spazio accessibile a clienti i cui bisogni specifici non sono adatti al modello “rideshare” che caratterizza i razzi di più grandi dimensioni. (In quel modello, molti satelliti si dividono il costo del lancio e vengono rilasciati assieme; poi raggiungono separatamente le rispettive destinazioni). Stanno cavalcando quest’onda di accesso allo spazio a costi più contenuti centinaia di giovani aziende produttrici di satelliti, ognuna delle quali ha in cantiere tecnologie innovative che sfruttano le straordinarie opportunità e l’ambiente unico offerti dallo spazio.
Il risultato è che lo spazio sta diventando una fonte di valore importante per aziende di svariati settori – tra cui l’agricoltura, la farmaceutica, il turismo e i beni di consumo. Aziende come Apple, Amazon Web Services, General Motors, John Deere, Merck e tante altre si stanno già muovendo in questa direzione. E Microsoft, che nel 2020 ha lanciato Azure Space, una piattaforma che unisce “le possibilità dello spazio ai benefici del cloud”, ha detto che tutti i suoi clienti potrebbero trarre beneficio dalla nuova piattaforma.
Quali sono le opportunità che si prospettano per la vostra azienda? Per rispondere a questa domanda, considerate le quattro aree nelle quali l’utilizzo dello spazio potrebbe creare valore: dati, capacità, risorse e mercati. Per la maggior parte delle aziende che stanno mettendo a punto la propria strategia spaziale per i prossimi cinque o dieci anni – sia come fornitori di servizi sia come clienti – i dati saranno l’elemento predominante. Ma quelle che guardano ancora più avanti vorranno capire anche quale potrebbe essere il valore generato dalle altre tre aree.
Lo sfruttamento dell’opportunità rappresentata da un nuovo mercato tecnologico ha sempre richiesto agli aspiranti fornitori una grande tempestività – devono essere in grado di assemblare al più presto le competenze, le risorse e le capacità necessarie per creare prodotti e servizi completamente nuovi. Lo stesso discorso vale anche per lo spazio? Per rispondere a questa domanda, vale la pena di rivisitare la storia della prima ondata di iniziative commerciali attivate nello spazio.
Nell’autunno del 1998, Iridium, un fornitore di servizi telefonici globali per consumatori e imprese, ha annunciato il lancio del suo servizio commerciale. Nel decennio precedente, Iridium aveva sviluppato e messo in orbita una costellazione di 75 satelliti (66 per le operations e nove di riserva) al costo di oltre cinque miliardi di dollari. Era una realizzazione brillantissima. Nessuno prima aveva mai messo assieme una rete così vasta di satelliti orbitanti. E i satelliti di Iridium avevano capacità che gli altri non possedevano – parlavano tra di loro mentre giravano intorno al mondo a 17.000 miglia all’ora.
Al lancio del progetto, tuttavia, ci sono stati dei problemi legati alla tecnologia, in particolare riguardo alla capacità di fare e ricevere chiamate nelle grandi città e all’interno degli edifici. Ma soprattutto, il mercato previsto non si è materializzato. Dopo cinque mesi, gli abbonati erano solo 10.000. In piena crisi di liquidità, e con troppo pochi clienti per coprire i costi operativi, meno di dieci mesi dopo il suo esordio sul mercato, Iridium ha chiesto il concordato fallimentare.
Confrontate questo approccio con quello di Lynk, un’azienda imprenditoriale che si poneva un obiettivo analogo: fornire una copertura globale per la telefonia cellulare che utilizzasse le attrezzature preesistenti del cliente. Anche se alla fine i suoi piani hanno richiesto centinaia di satelliti, all’inizio Lynk ha condotto una serie di esperimenti. Ognuno di essi le dava maggiori informazioni sulla fattibilità, sulla desiderabilità e sulla sostenibilità economica dell’intero progetto – e maggiori informazioni con cui pianificare l’esperimento successivo. Nel 2020 Lynk ha cercato di capire se i telefoni cellulari potevano ricevere un sms da un singolo satellite in orbita e confermare così la fattibilità tecnica del sistema. Poi, nel 2022, con il suo quinto satellite ha sperimentato la connessione a due vie e apparecchiature terrestri posizionate in cinque location del mondo. Nel corso di quell’esperimento, l’azienda ha ricevuto ping di richieste di assistenza da migliaia di apparecchi che si trovavano fuori dalla portata delle antenne tradizionali, il che le ha fornito un’indicazione importante sulla domanda potenziale. Nessuno può sapere per certo se Lynk avrà successo in un mercato sempre più affollato, ma la sua filosofia di sperimentazione progressiva consente la massima flessibilità ai fini dell’apprendimento e dell’adattamento.
Un approccio flessibile sta cominciando a diventare predominante. Agli albori dell’industria spaziale, gli attori governativi lanciavano progetti multimiliardari che incorporavano processi sofisticati per la gestione del rischio; il fallimento si doveva evitare praticamente a tutti costi. Oggi, SpaceX e altre start-up hanno adottato l’approccio basato sul fallimento rapido che è ormai comune a tutta l’alta tecnologia. Come ha detto un executive a un gruppo di allievi dell’MBA che avevano assistito al fallimento di un test dei sistemi di funzionamento della navicella spaziale Starship, «Pensate a tutto quello che hanno imparato da quel test. Se avessero tentato di eliminare quel rischio, ci sarebbero voluti molti più anni e molti altri milioni». Adesso che ci prepariamo a entrare nella nuova era spaziale, il messaggio è chiaro: le aziende che andranno a operare nello spazio non possono evitare il rischio. Devono accettarlo e lasciare che ne guidi l’apprendimento.
C’è voluto quasi un secolo prima che l’automobile acquisisse il predominio nei trasporti e in quel secolo la tecnologia automobilistica ha subito molti cambiamenti. Le prime automobili erano poco più che go-kart elettrici nobilitati e, nonostante lo sviluppo delle batterie al piombo, erano limitate nell’autonomia e nella velocità. Solo con l’avvento del motore a combustione interna il potenziale delle auto è apparso in tutta la sua evidenza. L’industria spaziale si evolverà con modalità analoghe – progressi discontinui e svolte tecnologiche inattese.
Come tutti i settori, anche il business spaziale avrà alti e bassi. Nel breve termine, mentre le economie sono alle prese con la minaccia della recessione, l’impegno delle società di VC e di altri fondi verrà certamente a ridursi. Si parla già di una bolla spaziale che sta per sgonfiarsi. L’industria spaziale attraverserà certamente periodi di consolidamento e di riposizionamento, man mano che i player più deboli usciranno o verranno acquisiti dai concorrenti. Ma, una volta raggiunto un punto critico, il coinvolgimento dei privati può generare progressi in tempi brevissimi, perché gli imprenditori risolveranno i problemi ancora irrisolti. È vero che alcuni risultati arriveranno solo nell’arco di decenni o addirittura di secoli. Ma in questo momento l’industria satellitare da 300 miliardi di dollari, tuttora in crescita, è destinata a rivoluzionare tutta una serie di settori tramite i dati e la connettività, sfruttando soluzioni ed economie di scala consentite dalla diminuzione dei costi di lancio e dai progressi intervenuti nella tecnologia. Di fronte alle immense opportunità che ci sono a disposizione oggigiorno, è ora di cominciare a immaginare una strategia spaziale per la vostra azienda.
Matthew Weinzierl è Professore di Business Administration alla Harvard Business School, dove Prithwiraj (Raj) Choudhoury è Professore associato. La versione integrale di quest’articolo è stata pubblicata su Harvard Business Review Italia di dicembre 2022.