Ecosistemi planetari: la biodiversità a rischio

15-11-2022 | News

di Francesca Pennisi

Per il grande ecosistema planetario l’allarme sale. Come è chiaramente emerso alla Cop27 di Sharm El Sheik, la sempre più invasiva attività umana sta causando un preoccupante declino della biodiversità, intesa come la varietà di tutte le forme di vita presenti sulla Terra. Tra le principali cause di questa drammatica realtà si pongono le modifiche nell’utilizzo del suolo, lo sfruttamento diretto, il cambiamento climatico e l’inquinamento. Una relazione pubblicata nel 2019 dalle Nazioni Unite ha ammonito che sono a rischio di estinzione un milione di specie (su un totale stimato di 8 milioni). 

Sono segnali forti che non si possono più ignorare. L’uomo e la natura fanno parte dello stesso ecosistema e sono fortemente connessi: tutto ciò che minaccia la biodiversità minaccia inevitabilmente anche noi e la nostra sopravvivenza. Affronta il tema un rapporto globale pubblicato da Ipbes (Intergovernmental science-policy platform on biodiversity and ecosystem), dal titolo The Global Assessment Report on Biodiversity and Ecosystem Services, secondo il quale:

  • con il nostro impatto a livello mondiale abbiamo alterato il 75% degli ambienti naturali degli ecosistemi terrestri e il 66% degli ecosistemi marini
  • continuando con gli attuali ritmi di trasformazione del territorio, nel 2050 il 90% degli ecosistemi sarebbe alterato in maniera significativa
  • abbiamo modificato il clima nonché i grandi cicli biogeochimici del carbonio, dell’azoto e del fosforo abbiamo prodotto una enorme quantità di nuove sostanze tossiche e nocive che non sono metabolizzabili dai sistemi naturali
  • abbiamo modificato il ciclo dell’acqua e acidificato gli oceani
  • abbiamo eroso e continuiamo a erodere la biodiversità, la ricchezza della vita sulla Terra, in ogni angolo del pianeta, mettendo a rischio almeno un milione di specie animali e vegetali dopo averne cancellato per sempre un numero ancora imprecisato.

È ora di agire

L’Ipbes avverte che ci sarà un ulteriore impatto negativo dell’attività umana sugli ecosistemi se non si metteranno in campo azioni trasformative. E ci saranno anche conseguenze marcate per quanto riguarda la realizzazione dell’intera Agenda 2030, declinata nei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e in 169 target da raggiungere entro il 2030. Lo stesso quadro è fornito anche dal quinto Global Biodiversity Outlook, realizzato dalla Convenzione sulla diversità biologica e pubblicato nel 2020, che afferma che l’umanità si è spinta ormai oltre al limite e che le azioni odierne influenzeranno sicuramente il lascito alle future generazioni.

Occorre quindi agire in fretta e invertire la rotta riducendo tutti i fattori di pressione negativi sulla biodiversità. per evitare che si generino conseguenze disastrose e che la Terra si trasformi in un ambiente fortemente ostile e pericoloso. In primo piano c’è chiaramente l’aumento della temperatura: ci stiamo purtroppo avvicinando alla soglia di 1,5°C (valore aumentato in media di 1,1°C in più rispetto all’epoca preindustriale), oltre alla quale il rischio di estinzione di molte specie viventi e di alterazione di ecosistemi marini e terre emerse è pressoché certo. È quindi fondamentale limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C per ridurre l’impatto sulla biodiversità, in base a quanto sottoscritto nell’Accordo di Parigi del 2015.

L’impatto non sarà ovunque lo stesso: «Mentre molte regioni nel mondo dovranno affrontare un ulteriore calo della biodiversità, quelle tropicali dovranno affrontare particolari rischi dovuti alla combinazione tra fattori quali la crisi climatica, il cambiamento d’uso del suolo e lo sfruttamento della pesca. Si prevede che la biodiversità marina e terrestre nelle regioni boreali, subpolari e polari diminuirà principalmente a causa del riscaldamento, del ritiro dei ghiacciai marini e della maggiore acidificazione degli oceani. L’entità degli impatti e le differenze tra le regioni sono maggiori negli scenari caratterizzati da un rapido aumento dei consumi o della popolazione umana rispetto agli scenari basati sulla sostenibilità». Questo studio evidenzia quindi l’importanza di agire su fattori diversi indiretti e diretti per «rallentare, arrestare e persino invertire» la tendenza. 

I grandi rischi

Ma quali sono i rischi più gravi? Secondo gli esperti, il pianeta e la biodiversità che lo abita sono addirittura a rischio estinzione: si stima che dal 1500 ad oggi siano scomparsi almeno 680 vertebrati e che 72 su 278 specie formate da vertebrati, invertebrati e piante terrestri d’acqua dolce e marini siano a rischio. Un dato dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura che ricorda che gli ecosistemi, la biodiversità e la natura costituiscono il fattore fondante della salute, del benessere e di uno sviluppo sostenibile. Secondo il Quarto rapporto sullo Stato del Capitale Naturale in Italia, redatto nel 2021 dal MiTe, è necessario un «vero e proprio cambiamento trasformativo del nostro vivere sull’unico pianeta che ci consente di esistere». Consapevolezza e azioni che devono nascere da policy maker, aziende e persone per salvaguardare non solo la nostra salute, ma anche quella delle generazioni future. Continuare ad operare nell’ottica del “business as usual” è dunque controproducente e non fa che aggravare la situazione, considerando che il tempo a disposizione è limitato.

L’Italia e l’Europa

Ma qual è il quadro in Italia? Ci fornisce una risposta completa sempre lo stesso rapporto del MiTe, il quale rivela lo stato dell’arte sul capitale naturale e sulla biodiversità a livello nazionale, il quadro normativo e individua alcune soluzioni per invertire la curva della perdita di biodiversità. Lo stesso Ministero ha elaborato inoltre una Strategia Nazionale per la Biodiversità 2030 (SNB) prendendo come punto di partenza anche i dati evidenziati dalla SNB 2020 poco incoraggianti. Questa strategia di fatto non è altro che una ratificazione di quanto deciso a livello internazionale ed europeo.

Dal punto di vista europeo, il Parlamento ha varato la Strategia europea sulla Biodiversità per il 2030, con la quale sono stati fissati gli obiettivi per il prossimo decennio: «I deputati hanno accolto con favore l’impegno dell’UE a proteggere almeno il 30% delle aree marine e terrestri dell’Unione fra cui foreste, torbiere, praterie, ecosistemi costieri e garantire che almeno il 10% delle aree marine e terrestri dell’Unione, comprese le foreste primarie esistenti e gli altri ecosistemi ricchi di carbonio, restino indisturbate.» si afferma in una nota pubblicata dal Parlamento europeo.

Concretamente, questa strategia, la cui fase di consultazione pubblica si è chiusa lo scorso 22 maggio, opera a lungo termine prevedendo inoltre «di ampliare la rete europea di aree protette, di recuperare gli ecosistemi, di adottare misure più efficaci per la governance e il miglioramento delle conoscenze, di aumentare i finanziamenti e gli investimenti per le risorse naturali e, infine, di porre al centro delle agende politiche ambiente e salute come un tutt’uno».

Un approccio anche detto One World, One Health, che sia culturale, integrato e sistemico; una transizione verso una società e un modello economico basati su un maggiore rispetto della natura, permettendo contestualmente anche la nostra sopravvivenza. Finora ci siamo spinti oltre il limite, ma è chiaro che non si possa proseguire su questa strada. È tempo di un New Deal, attuabile attraverso le nostre scelte e comportamenti più responsabili.

Francesca Pennisi, Responsabile Marketing & Operations, Eccellenze d’impresa

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