Se l’umanità non acquisisce lo spirito indomito e trasgressivo che ha permesso agli artisti di superare ostacoli apparentemente insormontabili, sarà molto difficile imboccare la strada del cambiamento e trovare le soluzioni innovative che possono condurci alla sostenibilità.
di Carlo Alberto Pratesi e Andrea Geremicca
Se “sostenibilità” vuol dire “durare nel tempo”, è chiaro che l’insostenibilità non può essere un’opzione. Né per le imprese, né per la società, né tanto meno per le persone. Per essere sostenibili non basta la resilienza, serve l’antifragilità teorizzata da Nicholas Taleb. Quindi, la decisione di voler essere più sostenibili non implica alcuna responsabilità aggiuntiva, né principio etico e morale diverso o ulteriore rispetto al comune e naturale spirito di sopravvivenza. Se vogliamo sopravvivere, dobbiamo impegnarci a ridurre tutto ciò che può aumentare il rischio d’insostenibilità (in primo luogo, le emissioni di CO2) e, contemporaneamente, aumentare la nostra antifragilità, ossia la capacità di far leva su situazioni oggettivamente complicate (come, ad esempio, la pandemia o il riscaldamento globale) per avviare un’innovazione che porti un vantaggio. Per essere antifragili (e non solo quindi resilienti) occorre una straordinaria dose di creatività.
Antifragilità nell’arte
Mosca, 1940. Il regime sovietico inaugura un periodo, che durerà fino al 1960, di repressione artistica: libri, film, musica e balletti non graditi a Stalin, perché ritenuti poco socialisti, vengono censurati e infine bruciati. La loro diffusione, anche senza alcun scopo di lucro, viene punita severamente con la reclusione nei gulag.
Nello stesso periodo tutto il mondo balla il Rock N’Roll di Elvis Presley e assiste all’esplosione del Jazz, godendo della straordinaria tromba di Louis Armstrong e della meravigliosa voce di Ella Fitzgerald. Jazz e Rock ‘N’ Roll, sia occidentali che russi, sono censurati dal regime.
È in questo contesto, di grande frustrazione e limitazione artistica, che alcuni giovani russi, amanti della musica, escogitano un modo per registrare, riprodurre e far circolare la musica proibita, chiamata “blatnaya pesnya” (canzoni criminali).
Per farlo, prima realizzano una macchina artigianale per incidere i solchi musicali e poi cercano un supporto dove registrare le tracce, dato che il regime non consente di acquistare vinili vergini. Serve un’alternativa e i ragazzi della Golden Dog Gang (come vennero chiamati successivamente) hanno un’illuminazione. Sanno che gli ospedali sovietici, per problemi di sicurezza, sono obbligati a smaltire le radiografie dopo un anno dal loro utilizzo. Per recuperarle illegalmente, prima che vengano gettate, basta mettersi d’accordo con il personale sanitario. Quindi le prendono, le ritagliano a forma di cerchio e, dopo averle forate in mezzo con una sigaretta accesa, realizzano dischi su cui incidere tutta la musica che vogliono. Un supporto economico, pratico ma soprattutto facile da nascondere (potendolo ripiegare facilmente sotto la giacca o la camicia). I dischi che diventano celebri come, per esempio, Rebra (che in russo significa costole), contengono nei loro solchi i suoni di Elvis Presley e Louis Armstrong, ma soprattutto tutta la musica jazz e rock russa che nasce in quegli anni. La qualità del suono è decisamente bassa e molto disturbata, ma non importa: l’importante è essere riusciti a tramandarla nel tempo.
I ragazzi della Golden Dog Gang vengono scoperti dalla polizia di regime, arrestati e rinchiusi nei gulag fino alla morte di Stalin nel 1953. Appena scarcerati, si rimettono al lavoro, questa volta fabbricando dischi di migliore qualità, finché non vengono nuovamente arrestati e rinchiusi in prigione per qualche altro anno. Quando infine vengono liberati smettono, non per paura o per stanchezza, ma perché capiscono che l’arte ha vinto. Questo gruppo di ragazzi, spinto dalla propria passione e dalla creatività, aveva ottenuto l’innovazione più importante, quella della libertà di espressione.
L’arte di essere antifragili
La storia ci insegna che per risolvere un problema a volte bisogna guardare lontano dal problema stesso, lontano nello spazio, ma soprattutto nel tempo. Ci insegna che la vera innovazione parte dal bisogno e non dagli strumenti. Se l’umanità non acquisisce lo spirito indomito e trasgressivo che ha permesso agli artisti della Golden Dog Gang di superare ostacoli apparentemente insormontabili, sarà molto difficile imboccare la strada del cambiamento e trovare le soluzioni innovative che possono condurci alla sostenibilità.
Serve una innovazione di tipo radicale, guidata dalla creatività e dalla lungimiranza, altrimenti, l’unica speranza che ci rimane è quella di avviare piccoli miglioramenti incrementali per rallentare la nostra corsa. Ma se la direzione resta quella sbagliata, riusciremo tutt’al più a posticipare, ma non a evitare il collasso. Il percorso verso l’antifragilità non richiede solo strumenti o comportamenti nuovi, ma anche la definizione di una nuova destinazione e quindi la capacità di concepire un futuro che non sia semplicemente una “versione 2.0.” del presente che stiamo vivendo.
In questo percorso di cambiamento, non bastano dunque scienziati, giuristi, economisti e ingegneri: servono anche gli artisti che, essendo abituati a concepire il “nuovo”, sono forse gli unici davvero in grado di accettare una sfida così rilevante. Del resto, nella storia dell’uomo, sono spesso stati loro attraverso la letteratura, la musica, il cinema, la pittura e la scultura ad avviare le nuove tendenze.
Arte, innovazione, sostenibilità
Nel favorire il processo d’innovazione, l’arte opera su due fronti. Da un lato, attraverso le sue opere che generando “stupore”, come scrive Helen De Cruz, riescono a sbloccare nel nostro cervello gli schemi mentali e gli algoritmi che istintivamente continuiamo a replicare. Lo stesso Steve Jobs – confermando un accostamento, quello tra tecnologia e arte, concepito molti decenni fa dall’Olivetti – riconosceva l’importanza dell’estasi esperita durante i suoi viaggi a Firenze per immaginare hardware e software innovativi (ed Elon Musk sta ripercorrendo esattamente lo stesso percorso culturale).
Dall’altro lato, gli artisti ci propongono una visione controintuitiva del futuro e con le loro opere anticipano e innestano dei trend prima sociali e poi economici. Ogni trend di consumo, all’interno di uno specifico settore industriale, fonda infatti le radici su qualcosa che è già accaduto in qualche altro mercato che lo precede. Per esempio, il settore dell’arredamento è condizionato dall’abbigliamento prêt-à-porter, che è conseguenza dell’alta moda, che a sua volta è condizionata dal cinema, il cinema dalla musica e dalla letteratura, che vengono suggestionate dall’arte contemporanea, e così via. Risalendo il flusso si scopre che la gran parte delle innovazioni che si propagano di settore in settore trovano la loro origine in un’intuizione artistica.
L’artista che immagina il futuro non adotta nel suo percorso gli strumenti che tutti noi adoperiamo per soddisfare uno specifico bisogno, anzi fa di tutto per sottrarsene, cercando la sua originalità.
Gli artisti, attori chiave del cambiamento
La libertà dell’artista di esprimere se stesso, come nel caso Golden Dog Gang, lo priva di legami con il mondo contingente, senza obblighi di produzione né di subordinazione, avendo come unica necessità l’espressione della propria identità attraverso opere in grado di sfidare il tempo (dunque sostenibili). Nel caso di aziende e organizzazioni, invece, la forza motrice è diversa, quasi opposta: è legata a metriche chiare e obiettivi economici precisi che di solito si misurano in trimestri o, nella migliore delle ipotesi, in anni.
Scorrendo la lista degli artisti che più di tutti hanno anticipato e rappresentato il futuro (i futuri) è difficile trovare tratti comuni che rivelino una ricetta segreta. Possiamo però analizzare i loro strumenti di lavoro (a parte colori e scalpelli), che si traducono in quattro attività di base: sguardo, attenzione, disciplina e rigore, come dettagliato nel riquadro. Questi strumenti sono anche le doti che consentiranno all’umanità di concepire e di raggiungere un futuro realmente sostenibile.
L’arte, pertanto, non va più considerata come un semplice elemento estetico che accompagna e abbellisce prodotti ed esperienze, ma anche e soprattutto come il principale attivatore di processi di innovazione. Se quindi non si investe sull’arte e non si adotta la creatività tipica degli artisti, se più in generale gli investimenti nella cultura si riducono, l’economia ne soffrirà, specialmente in un’epoca in cui è richiesta una forte dose di innovazione per essere sostenibili.
Carlo Alberto Pratesi è Professore ordinario di Marketing, Innovazione e Sostenibilità e delegato del Rettore per le start-up all’Università Roma Tre.
Andrea Geremicca è direttore dello European Institute for Innovation and Sustainability (EIIS) e adjunct professor presso la LUISS.