Il rebus della plastica: da problema a opportunità

3-10-2022 | News

Sempre più indispensabile per le sue caratteristiche di economicità, leggerezza e versatilità, la plastica ha però un forte impatto ambientale, se non adeguatamente prodotta e poi smaltita. Ma stanno nascendo soluzioni innovative per beneficiare dei suoi vantaggi e porre rimedio all’inquinamento.

Presente virtualmente ovunque, la plastica genera sentimenti contrastanti fra i consumatori, prima amata poi odiata, da utile a dannosa; a volte economica e a volte costosa. Per esperienza sappiamo che è contemporaneamente tutte queste cose, ma purtroppo è anche un fattore determinante dell’inquinamento mondiale, se non viene gestita adeguatamente nel suo ciclo di vita, e soprattutto in quello di smaltimento.

I materiali plastici sono sempre più diffusi sul suolo e nel mare, ma stanno aumentando la loro presenza anche nell’atmosfera sottoforma di particelle scarsamente percepibili. Questo, se da una parte è un problema non di poco conto, dall’altra parte può diventare un’opportunità.

Nell’economia moderna la plastica riveste un ruolo indispensabile e onnipresente e, con ogni probabilità, è il materiale più versatile in termini di applicazioni. Il segreto del suo successo è la funzionalità senza pari – in numerosi settori come edilizia, trasporti, sanità ed elettronica – a fronte di costi di produzione relativamente bassi.

Tuttavia, per quanto in fase di realizzazione i costi siano bassi, quelli riferiti al suo ciclo di vita sono molto elevati. Un report del WWF indica che nel 2019 l’inquinamento, le emissioni e i costi di ripulitura associati alla plastica sono stati pari ad almeno 3.700 miliardi di dollari, una cifra superiore al PIL dell’India e molto più elevata del costo di mercato. Altrettanto pressanti sono le sfide poste dalla brevità della vita utile degli involucri e degli imballaggi in plastica (appena sei mesi), in netto contrasto con i decenni, o persino secoli, che occorrono per il processo di decomposizione di quella monouso dispersa nell’ambiente.

La plastica e l’economia circolare

A oltre quarant’anni dall’introduzione del primo simbolo universale che indica i prodotti riciclabili, il tasso di riciclo della plastica potrebbe essere molto più elevato. Attualmente il recupero rispetto a carta (58%) e ferro e acciaio (70–90%), il riciclo della plastica in generale, e soprattutto degli imballaggi in plastica, è tuttora agli inizi. Solo il 14% di questi, infatti, viene raccolto per essere riciclato. Di conseguenza, un’economia circolare della plastica contribuirà alla creazione di un sistema più sano e più rigenerativo, in cui la plastica è riutilizzata e riciclata. Rispettando tre semplici regole, “eliminare, innovare e rimettere in circolo”, si favorirà la riduzione dei rifiuti in materiale plastico dell’80% e un taglio delle emissioni di gas serra del 20% nei prossimi vent’anni, si creeranno 700.000 nuovi posti di lavoro e si risparmieranno 200 miliardi ogni anno.

Un processo ben avviato consentirebbe, inoltre, di sganciare più rapidamente la produzione di plastica dalle fonti energetiche non rinnovabili. Il 98% di quella monouso prodotta ogni anno è infatti realizzato a partire da combustibili fossili. Nei prossimi decenni, la domanda di petrolio per la produzione di plastica dovrebbe aumentare ulteriormente: si valuta una crescita del 3,8% sino al 2030, e poi del 3,5% sino al 2050, un tasso superiore a quello della domanda complessiva, che dovrebbe salire appena dello 0,5% annuo.

I danni all’ambiente

Per quanto la plastica sia un prodotto versatile ed efficiente in termini di costi che ne giustifica l’applicazione in diversi settori in modo consistente, l’impatto dell’inquinamento che essa provoca sull’ambiente è devastante. Dalle stime emerge che attualmente i rifiuti marini sono composti per l’85% da plastica e che entro il 2050 negli oceani il peso globale della plastica supererà quello del pesce. I nostri studi indicano, che dallo scoppio della pandemia di Covid-19, sono state riversate in mare, e non adeguatamente gestite, circa 8,4 milioni di tonnellate di mascherine, guanti e altri rifiuti in plastica prodotti da 193 Paesi.

Alla luce di questi scenari allarmanti, ridurre gli effetti nocivi della plastica e porre in essere sistemi di riciclo rappresentano passi cruciali per un approccio più rigoroso alla protezione del pianeta. La rilevanza della plastica usa e getta aumenta se si considera che a livello globale un quarto degli scarti in plastica finisce negli inceneritori e il 40% nelle discariche. Si tratta di risorse preziose che “evaporano”, nel vero senso della parola.

In ogni caso, non tutti i metodi di riciclo di questo materiale, per quanto animati dalle migliori intenzioni, sono positivi per l’ambiente. Pensiamo in particolare al “wishcycling”, definito dal dizionario Collins English Dictionary come “la prassi di gettare qualcosa in un bidone senza prima accertarsi che sia effettivamente riciclabile”. A tal proposito, un’indagine del Pew Research Center ha determinato che, secondo più della metà degli americani, “la maggiori parte dei prodotti” può essere riciclata.

Una soluzione e un’opportunità

La conversione del ciclo produttivo della plastica a un modello fondato sul riciclo, in modo da inserire i prodotti all’interno di un’economia circolare è opportuno. In questo modo le necessità di utilizzo della plastica monouso andrebbe a ridursi. Tuttavia, il solo riciclo della plastica non può essere una soluzione a lungo termine per lo sviluppo di un sistema circolare sostenibile. E non sarà possibile effettuare un taglio significativo dei consumi (e quindi degli imballaggi) senza che si verifichi una drastica decelerazione dell’economia globale.

Il passaggio dagli involucri in plastica ad alternative sostenibili sarebbe, dunque, un grande passo avanti e molte aziende fanno già la loro parte. Gli investitori hanno quindi l’opportunità per supportare modelli di consumo che creano meno esternalità negative, contribuendo alla riduzione dell’inquinamento a livello globale. Una transizione che, per di più, è in grado di creare punti di contatto interessanti con un mercato in crescita, quello delle bioplastiche e dei polimeri compostabili e biodegradabili realizzati a partire da biomasse vegetali come maizena, tapioca, patate, amido o canna da zucchero.

Secondo le proiezioni, infatti, le dimensioni del mercato globale delle bioplastiche e dei polimeri dovrebbero triplicarsi, passando dai 10,7 miliardi di dollari del 2021 a 29,7 miliardi nel 2026, con un tasso annuo di aumento del 22,7%. A livello geografico, la crescita più significativa si verificherà nella zona dell’Asia-Pacifico, registrando il +12,35% all’anno nel periodo 2021-2030.

Su base settoriale, nel 2020 gli imballaggi rappresentavano la quota più elevata del mercato delle bioplastiche e dei polimeri, in termini di valore, seguiti da articoli tessili e beni di consumo.

La crescente domanda di bioplastiche

L’espansione del mercato globale delle bioplastiche e dei biopolimeri è trainata da driver sia interni sia esterni al settore: normativa più stringente, tassazione più severa e messa al bando della plastica usa e getta in diversi paesi. D’altro canto, anche l’evoluzione delle preferenze dei consumatori contribuisce allo sviluppo, alla produzione e alla distribuzione di alternative più ecologiche rispetto alla plastica tradizionale. Secondo un recente sondaggio tra i consumatori effettuato dalla società Boston Consulting Group, quasi i tre quarti dei 15.000 partecipanti (e l’83% tra le giovani generazioni) hanno dichiarato di essere disposti a pagare un prezzo più alto per prodotti con un imballaggio ecosostenibile, e oltre un quinto accetterebbe addirittura un sovrapprezzo del 10%. Il 64% degli intervistati ha inoltre affermato che la sostenibilità dell’imballaggio è un fattore importante per le decisioni di acquisto.

In linea con le richieste dei consumatori e delle autorità di regolamentazione, diversi settori prediligono la produzione e l’utilizzo di bioplastiche e polimeri con l’obiettivo di risolvere i problemi ambientali ed economici, per attenuare le pressioni sui prezzi a causa del rincaro dei combustibili fossili. Inoltre, i progressi nella ricerca e sviluppo (vale a dire la riduzione dei costi di produzione e l’accelerazione dei processi produttivi) favoriscono la diffusione di valide alternative ai polimeri tradizionali, come polietilene tereftalato (PET), polietilene ad alta densità (HDPE), polietilene a bassa densità (LDPE) o polipropilene (PP) e polistirene (PS). Da ultimo, la crescita demografica e la rapida urbanizzazione sono fattori che sostengono la ricerca di soluzioni sostenibili per l’imballaggio.

Condividi questo contenuto su: