Per molti, certo la maggioranza, i computer quantistici restano un mistero. Il che non sorprende perché è la stessa fisica quantistica a risultare poco digeribile ai più. Lo stesso Einstein la considerava di una complessità teorica quasi indecifrabile. Ma i computer quantistici sono comunque già una realtà concreta, anche se per poterli utilizzare efficacemente ci vorrà un po’ più di tempo di quanto non ci si aspettasse.
Ma a cosa serviranno questi super computer, capaci di eclissare i calcolatori attuali e sostanzialmente mandarli in soffitta? Alcuni usi sono rendere molto più veloce la scoperta di nuovi farmaci, rendere le previsioni meteorologiche sempre più precise e localizzate, potenziare a livelli finora sconosciuti l’intelligenza artificiale e altro ancora.
Sono queste alcune delle potenzialità attribuite a questi rivoluzionari calcolatori, non più basati sui bit, ma sui qubit (quantum bit). Queste unità digitali sfruttano due note proprietà della meccanica quantistica – la sovrapposizione e l’entanglement – per aumentare esponenzialmente la velocità di calcolo e risolvere problemi che anche per i più potenti supercomputer del mondo sarebbero impossibili (o richiederebbero un tempo irragionevolmente lungo).
La più nota applicazione potenziale dei computer quantistici – dimostrata teoricamente da Peter Shor nel 1994 – è la capacità di decifrare anche gli algoritmi crittografati utilizzati, per esempio, nel settore dei bitcoin, delle transazioni finanziarie su internet e delle firme digitali. Potenzialità che ha naturalmente attirato molta attenzione. Però c’è un problema: nessuno ancora oggi è in grado di produrre concretamente un computer quantistico in grado di fare cose del genere e non c’è modo di sapere quando sarà possibile.
Cosa dire, allora, dell’era della supremazia quantistica, annunciata da Google nel 2019 quando il suo computer Sycamore era effettivamente riuscito a risolvere in pochi minuti un calcolo che per un tradizionale computer avrebbe richiesto centinaia di anni? Si trattava, in realtà, di una dimostrazione priva di applicazioni pratiche e progettata dai ricercatori al solo scopo di mostrare le potenzialità del dispositivo e che serviva a dimostrare che questi computer possono effettivamente fare cose impossibili per quelli tradizionali sfruttando esperimenti progettati esattamente a questo scopo.
Di recente, il docente di Fisica quantistica Sankar Das Sarma ha scritto sulla Technology Review del MIT: “I computer quantistici più avanzati oggi hanno qualche dozzina di qubit fisici che causano decoerenza (o rumore). Costruire un computer quantistico in grado di decifrare codici RSA da tali componenti richiederebbe molti milioni se non miliardi di qubit. Solo decine di migliaia di questi verrebbero utilizzati per il calcolo, i cosiddetti qubit logici; il resto sarebbe necessario per correggere gli errori, compensando la decoerenza”.
La decoerenza, ha spiegato Signorelli in un recente articolo su La Repubblica, è il fenomeno che provoca, a causa dell’interazione tra i qubit e l’ambiente che li circonda, il decadimento degli stati quantistici prima che il lavoro dei qubit venga portato a termine. Questo stato è infatti estremamente delicato: le più piccole vibrazioni (anche una collisione tra particelle d’aria) o dei minimi cambiamenti nella temperatura possono far uscire i qubit anticipatamente dalla sovrapposizione in cui si trovano, fornendo risultati completamente casuali. È per questo che, per esempio, il Q System One di IBM è protetto da una teca di vetro a chiusura ermetica munita di un sistema di raffreddamento prossimo allo zero assoluto.
Occorre dunque ricordare che i più avanzati computer quantistici di oggi hanno qualche decina di qubit fisici, mentre per ottenere i risultati promessi ne servirebbero milioni o miliardi. E la strada per arrivare fin lì è dunque ancora piuttosto lunga e l’avvento di veri e propri computer quantistici potrebbe essere molto più distante di quanto solitamente non si dica.
Il raggiungimento della supremazia quantistica ci ha comunque proiettati in una nuova era, definita dagli scienziati NISQ (noisy intermediate-scale quantum), intendendo la possibilità di sviluppare computer quantistici di taglia intermedia – cioè con un numero ancora limitato di qubit – pur sapendo che il rumore di fondo ci permetterà di avere soltanto un controllo parziale sui risultati che si possono ottenere. Non ancora dei computer quantistici perfetti, quindi, ma comunque utili, anche se lo stesso Das Sarma nutre qualche dubbio: “L’idea è che delle piccole raccolte di qubit fisici rumorosi potrebbe comunque fare qualcosa di utile e meglio di quanto non possa fare un classico computer, ma non siamo sicuri di molte cose: quanto rumorosi? Quanti qubit? È davvero un computer? Quali problemi degni di nota potrebbe risolvere questa macchina Nisq?”.
Gli esperimenti finora condotti tramite Nisq non avrebbero mostrato sostanziali vantaggi rispetto ai computer tradizionali o comunque – eccezion fatta per ambiti di ricerca molto specifici – non hanno alcun potenziale di commercializzazione. Ci sono state proposte relativo all’uso di computer quantistici su piccola scala per la progettazione di farmaci o per aiutare nel campo della finanza, ma nessun paper tecnico ha finora offerto dimostrazioni convincenti che dei computer quantistici, incluse le macchine NISQ, possano portare ottimizzazioni significative.
Per quanto si parli spesso dei computer quantistici come se fossero in procinto di rivoluzionare il mondo, dunque, la realtà è ben diversa. Potremmo essere ancora all’inizio della strada e a decenni di distanza dal realizzare quelli che, a quanto pare, sono ancora sogni.