Vaccini: perché l’Italia insegue? Intervista a Gilberto Turati (Università Cattolica)

17-05-2021 | News

vaccini

Il futuro del mondo passa attraverso i vaccini: se saremo in grado di permettere un vero ritorno alla normalità, dipenderà da loro. Vaccinare per uscire prima dalla pandemia è diventato un fattore competitivo per fare ripartire i motori delle economie. La strada non è breve e la meta non è chiara a tutti, neanche agli scienziati. Ma allo stato dell’arte possiamo e dobbiamo porci alcune domande: perché l’Italia, nonostante il settore farmaceutico sia molto importante in alcuni distretti industriali, ha smesso di produrre vaccini e di investire nella ricerca? Produrli darebbe al nostro Paese maggiori possibilità di uscire più in fretta dalla pandemia? Quale futuro ci aspetta, anche alla luce della recente battuta d’arresto al vaccino italiano ReiThera? Ne abbiamo parlato con Gilberto Turati, professore ordinario di Scienza delle Finanze all’Università Cattolica del Sacro Cuore ed esperto di politica ed economia sanitaria. Partiamo da un dato su tutti: secondo Eurostat, il più grande produttore europeo di vaccini è il Belgio (per circa la metà del valore di mercato), seguito a distanza (con un po’ più di un decimo del valore di mercato) dalla Francia. L’Italia in questo settore svolge un ruolo marginale (poco più di un centesimo del valore di mercato).

Perché dunque il Belgio e non altri? Secondo Turati «sembrano esserci tre fattori dietro questa specializzazione. Primo: lo sviluppo di importanti relazioni tra la ricerca, lo sviluppo di nuove conoscenze, il lavoro che si fa nelle università, e la fase della produzione. Secondo: la creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo di queste relazioni, attraverso la definizione di vantaggi fiscali per le imprese che reinvestono i loro profitti in spese per la Ricerca & Sviluppo. Terzo: la logistica. Non basta produrre, bisogna anche avere la possibilità di connettersi rapidamente e a costi contenuti con tutto il mondo. In Belgio ci sono buoni collegamenti con tutti i paesi europei data la centralità di Bruxelles».

Vaccini: il futuro che ci aspetta

Per Turati, però, qualcosa si sta muovendo anche in Italia. «Penso – sostiene l’economista – in particolare al ruolo che potrebbe avere Milano, dove, nell’area dell’ex Expo, si sta sviluppando un distretto delle scienze della vita, il MIND, il Milano Innovation District e lo Human Technopole». Secondo il professore la mission è chiara: sviluppare studi interdisciplinari per migliorare il benessere e la salute delle persone, anche attraverso cure personalizzate. È una delle poche iniziative chiaramente orientate al futuro, di cui si parla pochissimo ma che sta andando avanti. Milano è una piazza importante: ci sono università che occupano posizioni di rilievo nelle classifiche internazionali e una grande tradizione imprenditoriale, ci sono hub ferroviari e aeroportuali. E il talento dei ricercatori italiani è riconosciuto in tutto il mondo.

Il caso ReiThera

Prima dello stop da parte della Corte dei Conti – che ha definito il finanziamento di Invitalia “illegittimo” – l’Italia stava già sviluppando una sua soluzione vaccinale, tramite ReiThera, un’impresa del distretto laziale, uno dei due più grandi in Italia assieme a quello lombardo. Turati spiega che «il vaccino che si sta sperimentando ha ottenuto dall’Aifa l’autorizzazione alla fase due della sperimentazione. Prima della bocciatura di parte dei finanziamenti pubblici da parte della Corte dei Conti, si prevedeva una autorizzazione per settembre 2021 e una capacità di produzione annuale di 100 milioni di dosi all’anno. Ora diventa difficile fare previsioni». Inoltre «l’Unione Europea finora si è assicurata 2,3 miliardi di dosi, per avere un numero di confronto. Le dosi di ReiThera basterebbero per noi, quindi. In realtà poi c’è anche un secondo candidato in fase di sperimentazione, sviluppato da Takis-Rottapharm, con una previsione di autorizzazione per il 2022. Vedremo come andrà a finire su entrambi i fronti». Il secondo vaccino italiano è stato ideato dalla Takis di Castel Romano (Roma) e sviluppato con la società di Monza Rottapharm.

Il “miracolo” e l’intervento dei governi

L’ampia disponibilità di fondi pubblici per la ricerca è certamente uno dei fattori che, insieme all’iniziativa privata, ha consentito una specie di miracolo: ottenere in una decina di mesi qualcosa che normalmente si riesce ad ottenere in una decina di anni. La stanchezza di questo anno e mezzo circa di pandemia non ce lo deve far scordare. Il tema che sollevano alcuni è se – visti gli ingenti fondi pubblici – il governo, meglio i governi, possano anche partecipare alla scoperta del vaccino, attraverso una partecipazione ai diritti brevettuali; o addirittura alla fase di produzione e commercializzazione dei sieri attraverso imprese a partecipazione pubblica. Per il professor Gilberto Turati «si tratta di questioni che ci portano ad un vecchio dibattito che ha ripreso vigore sul ruolo dello Stato nelle economie moderne: ci sono ragioni a favore di una estensione del perimetro di attività e ragioni contro. Quello che sappiamo oggi, a differenza del passato, è che entrambe le soluzioni sono caratterizzate da una qualche forma di inefficienza. E sarà il pendolo della politica a fare propendere i governi per una soluzione o l’altra».

Il futuro possibile

Anche se è ancora presto per fare valutazioni generali sulla pandemia – tutt’altro che finita –, il professor Turati, guardando al prossimo futuro e all’insegnamento che ci ha lasciato l’emergenza, sostiene che, vista la fallacia iniziale di alcune indicazioni sulle politiche da seguire, ci voglia «umiltà e un po’ di sano realismo da parte di tutti nei giudizi. Certo – conclude – le restrizioni che sono state imposte in tutti i paesi spero abbiano fatto comprendere a tutti il valore di vivere in società aperte e libere. È questo valore che dovremmo difendere sempre, guardando al futuro con cauto ottimismo».

Denise Faticante

Condividi questo contenuto su: