Donne e lavoro: qualche progresso, ma che fatica!

30-04-2021 | Studio

Negli ultimi dieci anni si sono fatti passi avanti sia nel tasso di occupazione sia nelle posizioni di vertice, ma restano forti i divari nelle retribuzioni e le discriminazioni sul posto di lavoro. Lo studio di Emidia Melideo, giornalista ed editor di Harvard Business Review Italia.
donne

di Emidia Melideo

Nonostante alcuni doverosi e più o meno timidi passi avanti, in Italia la situazione relativa all’occupazione femminile resta poco soddisfacente: secondo il Gender Equality Index 2019, realizzato dall’Istituto europeo all’uguaglianza di genere, il nostro Paese si colloca infatti al 14° posto in Europa con 4,4 punti sotto la media Ue. Prima di noi Spagna, Slovenia, Austria, Germania, Francia, Belgio, Finlandia, Danimarca, Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Regno Unito, Svezia. Come è facilmente immaginabile, il dato di partenza è il tasso di occupazione (delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni) che è pari al 53% per le donne e al 73 % per gli uomini.

Tra le donne e gli uomini in coppia con figli il divario è molto più ampio che nelle coppie senza figli, mentre si riduce in modo indirettamente proporzionale ai livelli di istruzione, arrivando a essere quasi tre volte inferiore tra le donne e gli uomini con un livello elevato di istruzione rispetto alle persone con un basso livello di istruzione. Anche il tempo dedicato al lavoro professionale e gli ambiti di occupazione sono significativi e significativamente diversi: circa il 33 % delle donne lavora a tempo parziale, rispetto al 9% degli uomini. Le donne (6%) sono inoltre meno presenti rispetto agli uomini (31%) nelle professioni scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche. Tiziano Treu, presidente del Cnel, ha parlato della necessità di “un salto culturale”, sottolineando che la questione fondamentale resta quella di portare più donne sul mercato del lavoro, anche perché «l’accesso femminile al mercato determinerebbe “in sé” incrementi del Pil».

Politiche di welfare

Ed è proprio per avvantaggiarsi di questo incremento che sarebbero necessarie vere e proprie politiche di welfare, piuttosto che semplici misure di genere. Il primo passo non può che essere quello di intervenire sulla conciliazione famiglia-lavoro, dove il più delle volte è la donna a caricarsi quasi totalmente della gestione della famiglia e della casa. Nel dominio del tempo, il punteggio dell’Italia nel Gender Equality Index è di 59,3 punti, inferiore a quello dell’UE (65,7 punti) con un aumento dal 2005 del divario di genere nella distribuzione del tempo dedicato a cucina e lavori domestici. È quattro volte più probabile che siano le donne (81%) a dedicarsi alla cucina e ai lavori domestici per almeno un’ora al giorno tutti i giorni rispetto agli uomini (20%). Inoltre, sono più le donne (34%) che gli uomini (24%) a farsi carico delle responsabilità quotidiane di assistenza per almeno un’ora. Nelle coppie con figli, l’81 % delle donne e il 66 % degli uomini trascorre del tempo nelle attività quotidiane di assistenza.

Secondo il Cnel «Il Paese deve fare un salto culturale per l’affermazione del principio di co-genitorialità e di condivisione delle responsabilità del lavoro di cura in tutte le fasi della vita familiare». E per raggiungere tali obiettivi andrebbero messi appunto degli strumenti concepiti non «come una misura di genere» ma «come la principale leva di rilancio delle politiche di welfare pubbliche, cioè come un investimento pubblico necessario». La contrattazione collettiva può essere la strada, suggerisce il Cnel, «con particolare attenzione a quella aziendale».

Il nodo retributivo Altro nodo cruciale è l’iniquità retributiva. Sebbene la retribuzione media mensile sia aumentata sia per le donne che per gli uomini di circa il 19 % dal 2006 al 2014, il divario di genere persiste: le donne guadagnano infatti il 18 % in meno rispetto agli uomini. Nelle coppie con figli le donne guadagnano il 30 % in meno degli uomini (e nelle coppie senza figli il 26 % in meno). Il gap è inoltre superiore tra le donne e gli uomini con un livello di istruzione elevato (35 %) rispetto a situazioni con un livello di istruzione basso o medio (25 e 26%).

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