Digitali nonostante tutto

23-06-2023 | News

Secondo uno studio del Politecnico di Milano, gli investimenti tecnologici delle PMI italiane non si fermano, malgrado le crisi

Foto di Markus Spiske su Unsplash

Negli ultimi anni gli investimenti delle imprese di dimensione media e piccola in Italia sono proseguiti anche in presenza di difficoltà crescenti. E i piani per il futuro prevedono di accentuare le iniziative, in cui ormai sono stati introdotti anche maggiori investimenti in intelligenza artificiale. Certo, il panorama non è omogeneo, ma i frutti di quanto fatto nell’ultimo quinquennio, grazie anche alla legge Industry 4.0, sono confortanti.

Come ha rilevato il Politecnico di Milano, le tensioni internazionali, i rincari delle materie prime e dell’energia, i problemi di approvvigionamento e di ristrutturazione delle supply chain, oltre ad altre crisi che hanno accompagnato e seguito quella legata alla pandemia di Covid, hanno messo a dura prova le piccole e medie imprese italiane. Che però hanno dimostrato di saper reagire a questo contesto di instabilità, mantenendo gli sforzi per realizzare la transizione tecnologica.

A dipingere questo quadro è l’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi del Politecnico di Milano, che ha analizzato il livello di maturità digitale delle piccole e medie imprese italiane sulla base del loro approccio alla trasformazione digitale, del livello di trasformazione digitale dei processi e del grado di collaborazione con attori esterni.

Emerge così che solo il 14% delle Pmi riferisce di non essere stato in grado di adottare azioni per affrontare il rincaro energetico, e solo il 10% non ha avuto strumenti per rispondere alle difficoltà di fornitura. Per contro, il 36% ha aumentato gli investimenti nel digitale rispetto all’anno precedente e il 43% dichiara oggi di essere “avanti nel processo di digitalizzazione” o di “puntare sempre di più sul digitale”.

Nonostante questo impegno, il livello di digitalizzazione di molte aziende è insoddisfacente sotto alcuni punti di vista. Per esempio, in termini di capitale umano e cultura digitale, dove ancora troppe imprese (51%) non svolgono attività interne per sviluppare e potenziare le competenze digitali; inoltre, solo l’8% di loro punta a integrare nell’organico figure con precise competenze relative alle discipline Stem (Science, Technology, Engineering e Mathematics) o con alta formazione.

PoliMI individua, da questo punto di vista, quattro profili: poco più della metà (54%) mostra un atteggiamento timido nei confronti dell’evoluzione tecnologico-digitale, nel 16% dei casi l’orientamento resta addirittura analogico. Sembra mancare, in questi casi, un metodo olistico e una visione strategica di lungo termine. Dall’altro lato però, ci sono aziende che proseguono in modo convinto lungo questa direzione (36%) e altre sono anche più avanzate (9%). A queste differenze, dice l’Osservatorio, hanno concorso anche cause esterne come, per esempio, la crisi energetica che ha rallentato il percorso di trasformazione di alcune realtà.

Tra le filiere mappate quest’anno dall’Osservatorio, in collaborazione con InfoCamere, ci sono le Pmi di meccanica e meccatronica (19% del totale), dei veicoli a motore su gomma e servizi connessi (5%), e del settore delle costruzioni (comprese le società di ingegneria e gli studi di architettura). Una grande eterogeneità, che contribuisce a spiegare il diverso grado di innovazione digitale raggiunto. Basti pensare che il 35% delle piccole e medie imprese italiane stenta a riconoscere alla digitalizzazione un ruolo centrale all’interno del loro settore economico di riferimento. Inoltre, anche se c’è attenzione al tema della sicurezza informatica, è rilevante il divario esistente tra imprese che adottando solo soluzioni di base di cybersecurity (96%) e quelle che si dotano anche di soluzioni avanzate (28%).

Sul piano della cultura digitale, rileva il PoliMI, resta ancora molta strada da fare, visto che più della metà delle Pmi non organizza attività in azienda per potenziare le competenze digitali. Sul punto è interessante anche l’analisi contenuta nel report del Desi, l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società dell’Ue: nel misurare la performance relativa al capitale umano, lo studio fa notare che nella Penisola, solo il 15% delle imprese eroga ai propri dipendenti formazione nelle materie relative alle tecnologie dell’informazione e della comunicazioni, cinque punti percentuali al di sotto della media Ue; inoltre il report ricorda che nel mercato del lavoro, la percentuale di specialisti Ict è pari al 3,8% dell’occupazione totale, sotto la media dell’Unione che è del 4,5%.

Le analisi sul livello di digitalizzazione delle Pmi devono essere inquadrate nel contesto di rallentamento economico, inflazione e aumento dei tassi di interesse che ha caratterizzato il periodo tra il 2022 e il 2023. Un momento d’incertezza, che ha avuto i suoi riflessi anche sul piano della creazione di nuove imprese. Come rilevato dal Cerved, nel 2022 sono nate nella Penisola solo 89.192 nuove imprese, il 10,6% in meno (10.587) rispetto al 2021 e in calo (-5,9%) anche sul 2019. Mancate nascite che potrebbero comportare un calo di 2,5 miliardi di fatturato, secondo lo studio “Le imprese nate nel 2022 e il contributo economico delle start-up”. Una flessione che ha riguardato soprattutto il settore delle utility (-28,9%) e ha interessato con maggiore intensità il Sud e le isole.

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