Le piccole e medie imprese (PMI) costituiscono la base portante del tessuto economico italiano: il nostro assetto produttivo è composto per oltre il 90% da PMI, differenziandoci in ciò dagli altri Paesi europei. Si è molto discusso se ciò sia un bene o un male.
Di Renato Mannheimer
Al riguardo, qualche anno fa, circolava il detto “piccolo è bello”, ma oggi la maggior parte degli osservatori sostiene il contrario e vorrebbe spronare le nostre PMI affinchè in futuro trovassero nuovi modi e nuove strategie per aggregarsi tra loro, per essere più competitive sui mercati internazionali. Ma cosa ne pensano i vertici delle PMI? C’è una predisposizione a fare rete e al tempo stesso ad ammodernarsi e a innovare le strategie? La risposta non è completamente positiva, secondo un sondaggio svolto da Eumetra per conto di due associazioni delle PMI (Aicim e Aisom) su di un vasto campione di 150 aziende, rappresentativo dell’intero tessuto nazionale di questa tipologia di imprese.
È stata anzitutto richiesta una valutazione sulla situazione economica attuale della propria impresa e, su una scala da 1 a 10, la media riscontrata è pari a 6,3, quindi appena sopra la sufficienza; nulla di particolarmente entusiasmante sebbene non necessariamente negativo. Questa situazione di cautela nei confronti della attuale situazione dell’impresa è dovuta anche alle diffuse preoccupazioni per il futuro: ben il 72% risulta infatti preoccupato riguardo alle prospettive della propria azienda. Circola, dunque, una visione pessimistica per quel che potrebbe accadere nei prossimi mesi.
Ma quali sono questi problemi, quali le principali esigenze affrontate oggi dalle PMI italiane? Il primo, più sottolineato, è legato, come era prevedibile, alle problematiche dell’energia e, in particolare, ai suoi recenti rincari: una circostanza nota a tutti e, quindi, una risposta forse prevedibile.
Ma, subito dopo in ordine di importanza, vengono citati altri due fattori determinanti di grande rilievo per l’azienda: anzitutto un più facile accesso al credito e, al tempo stesso, la questione afferente alle problematiche del reperimento di personale qualificato. Meno indicati risultano invece temi, peraltro anch’essi significativi, come la competizione a livello internazionale o l’aumento della dimensione dell’impresa attraverso l’aggregazione. Contrariamente a quanto auspicato da molti osservatori, questi non vengono considerati oggi dai vertici delle PMI i problemi più importanti: si tratta di ambiti, come vedremo, ove sembra essere necessario un più diffuso approccio culturale al riguardo.
Quali sono, invece, secondo gli intervistati, i principali fattori di successo delle loro imprese? Prima di tutto viene citato il clima aziendale positivo, dovuto anche alla capacità di ascolto del contesto interno ed esterno. Poi si ricorda che questo è ottenuto anche attraverso la valorizzazione del capitale umano e l’introduzione di nuove competenze in azienda, l’innovazione di processo e di prodotto, anche verso la digitalizzazione.
È interessante rilevare come, nell’elencare i fattori di successo, venga data, ancora una volta, minore importanza a elementi che non sono da sottovalutare, come la capacità di svilupparsi verso l’estero e l’aumento di dimensioni dell’impresa, tanto che solo poco più di un’azienda su tre dichiara di avere in questo momento relazioni con clienti non italiani, specialmente appartenenti a Paesi europei.
E anche l’atteggiamento verso il possibile cambiamento di questa situazione è assai tiepido: se è vero infatti che il 49% ritiene quantomeno “opportuno” incrementare il livello di internazionalizzazione, la maggioranza (51%) è di parere opposto e non ha nessuna intenzione di procedere in questo senso.
Sul piano del capitale sociale, risulta dimostrato ciò che ci si attendeva: la quasi totalità delle aziende (94%) è posseduta interamente dagli imprenditori “interni”, senza apporti di capitali esterni. E, anche da questo punto di vista, appare molto limitata la propensione ad aprire il proprio capitale a terzi.
Veniamo infine a un tema molto importante dal punto di vista strategico per lo sviluppo del tessuto delle PMI italiane: le aggregazioni tra imprese. Ha sperimentato qualche forma di collaborazione una netta minoranza, il 22%. E, anche in questo caso, è significativamente poco diffusa l’intenzione di agire in questo senso e in questa direzione.
Sarebbe, però, necessario fare rete: appare opportuna al riguardo un’intensa azione culturale volta a modernizzare e rinnovare il quadro delle PMI italiane, quale quella svolta, ad esempio, da associazioni come Aicim e Aisom. Si tratta, specie in questo momento, di un obiettivo essenziale per il nostro Paese.
Renato Mannheimer, sociologo, Eumetra Monterosa.