Si prevede che nei prossimi 30 anni fino a un miliardo di persone lasceranno il proprio Paese per gli effetti del climate change. Ma per affrontare questa emergenza non ci sono strategie chiare a livello internazionale.
Siamo abituati a pensare, e osservare, la drammatica realtà delle migrazioni come risultato di guerre, carestie e, soprattutto, povertà e mancanza di prospettive di lavoro e di benessere. Si calcola che oggi quasi 200 milioni di persone, il 2,3% della popolazione mondiale, vivano fuori dal proprio Paese d’origine, e quasi la metà in Paesi a reddito medio-basso. Ma, secondo gli studi di Banca Mondiale, UNHCR, IPCC e altri organismi internazionali, ben presto crescerà in modo significativo anche la migrazione per motivi ambientali. E non di poco, perché si potranno avere nel mondo, nei prossimi 30 anni, centinaia di milioni di migranti climatici, se non addirittura un miliardo. Dipenderà, ovviamente, da come verrà affrontato il climate change nei prossimi decenni, ma di certo saranno molte le popolazioni che potranno dover cambiare luogo di residenza e lavoro per gli effetti del clima.
Gli eventi meteorologici estremi degli ultimi anni, compreso il 2022, hanno reso sempre più chiaro che le cose stanno rapidamente cambiando: sono in atto un sensibile riscaldamento degli oceani e un visibile aumento del livello del mare, a livelli record; il ghiaccio marino antartico ha toccato un nuovo minimo; c’è un marcato scioglimento dei ghiacciai in Europa. Come riferisce Futura Network, solo in Pakistan le inondazioni hanno provocato lo sfollamento di 33 milioni di persone, mentre altri milioni in Africa sono stati colpiti dalla siccità e dalla minaccia della carestia, dal Corno d’Africa alla costa occidentale del continente.
È dunque da prevedere in futuro lo spostamento di massa delle persone, specie se vaste parti del mondo che ospitano alcune delle popolazioni più grandi diventeranno sempre più inabitabili. Le coste, gli Stati insulari e le principali città dei tropici saranno tra le più colpite, secondo gli scienziati del clima.
Le previsioni dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom) lasciano senza fiato: il numero di migranti ambientali nel 2050 potrebbe essere compreso tra 25 milioni e 1 miliardo. Potrebbe non essere così se nei prossimi anni verranno attuate misure più incisive di quelle finora varate su scala mondiale, ma già adesso sono in movimento forti flussi migratori prevalentemente dall’Africa e dal Medio Oriente, dove diversi Paesi stanno lottando con la crisi climatica e sono danneggiati da siccità estreme. Milioni di questi si sposteranno in Europa nel tentativo di sfuggire agli effetti negativi dei cambiamenti climatici.
Di fronte a queste prospettive, non è ancora chiaro come si potrà procedere. Alcuni esperti affermano che l’Europa dovrebbe agire stabilendo una giurisdizione per dare protezione agli sfollati a causa del cambiamento climatico. A differenza della guerra o della persecuzione, infatti, le persone oggi non possono richiedere asilo sulla base dei soli motivi legati al cambiamento climatico. Nel 2020, l’Unhcr ha aggiornato le sue linee guida, argomentando in modo più ampio la protezione di coloro che affrontano rischi ambientali e nel 2022 l’Argentina ha istituito un visto speciale per le persone sfollate a causa di disastri naturali. Anche la Finlandia ha adottato delle norme che danno la possibilità di accettare i rifugiati per motivi climatici, mentre l’Australia, che sembrava voler introdurre uno schema per concedere visti di lavoro stagionale agli abitanti delle isole del Pacifico a rischio di cambiamenti climatici, non ha poi proceduto in questa direzione.
Dovranno, dunque essere formulati piani di accoglienza su larga scala pianificati in anticipo. Ma i costi non sono l’unico ostacolo alla gestione delle migrazioni di massa. Fare piani a lungo termine per spostare intere comunità non attira consensi alle urne, e i politici tendono ad essere più interessati a cicli elettorali a breve termine quando, invece, è urgente adottare misure che guardino non ai prossimi anni, ma ai prossimi decenni. E i politici, si sa, non hanno di norma questa capacità, tranne pochi che fanno del loro meglio per farsi sentire, per ora con risultati ancora insufficienti.