La sfida globale per le batterie

9-09-2022 | News

Saranno quasi 100 le gigafactory di batterie in giro per il mondo. Necessarie per soddisfare l’enorme domanda di veicoli elettrici imposta dalle normative e richiesta dal mercato. Con investimenti colossali con al centro l’Europa. E con un ruolo anche per l’Italia.

di Carlo Andrea Finotto

Nel cuore della Germania, a Salzgitter, in Bassa Sassonia, più o meno a metà strada tra Dortmund e Berlino. È lì che sta prendendo corpo la rivoluzione della mobilità in Europa e nel mondo occidentale. Ed è da lì che parte la vera sfida alla Cina e all’Asia in generale.

Tutti abbiamo in mente una data: 2035, quella decisa dall’Unione Europea per decretare lo stop alla vendita di veicoli con motori termici: a benzina o a gasolio, per capirci. Tuttavia, la vera data che, forse, ci dovremmo appuntare è un’altra: 7 luglio 2022. Quel giorno il gruppo Volkswagen ha presentato quello che sarà il nuovo paradigma delle gigafactory per la costruzione di batterie per auto elettriche.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto che «Volkswagen mostra come sarà il futuro della mobilità sostenibile e rispettosa del clima. Bruciare combustibili fossili non è più possibile (…). Produrre batterie in Germania e in Europa partendo dalle materie prime e dalle singole celle è strategico. Essere indipendenti da tecnologie e materiali è fondamentale».

Con le sue parole Scholz ha spiegato perché la fabbrica ha un ruolo importante nel quadro generale della mobilità sostenibile. Quando sarà pronto e a regime, l’impianto della Bassa Sassonia avrà una capacità produttiva da 40 Gwh complessivi, in grado di sfornare batterie per circa 500mila veicoli all’anno. Ma, soprattutto, Salzgitter fa parte di un piano di investimenti da 20 miliardi di euro e 20mila assunzioni che prevede l’apertura di 6 gigafactory in Europa (oltre che in Germania anche in Ungheria, Repubblica Ceca e Spagna) entro il 2030 per un totale di 240 Gwh.

Per il Ceo di Volkswagen, Herbert Diess, «il business delle celle a batteria è uno dei pilastri su cui si basa la nostra strategia “New Auto”, che trasformerà Volkswagen in un fornitore della mobilità sostenibile basata sul software. Aprire la nostra fabbrica di celle a ioni di litio è un megaprogetto in termini tecnici ed economici. Dimostra che stiamo portando la tecnologia del futuro in Germania».

Salzgitter rappresenta un passaggio di testimone epocale: è sempre stata il cuore della produzione dei motori termici e a breve diverrà il cuore dell’auto elettrica e delle strategie del gruppo Volkswagen che ha creato allo scopo una nuova azienda nominata PowerCo. Ma c’è di più. «In molti altri casi, le gigafactory sono grandi impianti che si limitano, se così si può dire, ad assemblare i vari elementi. Volkswagen, invece, ha deciso di costruire le batterie partendo dalle materie prime: in pratica sfiderà direttamente i concorrenti asiatici, come i cinesi di Catl e Byd, i coreani di Lg o i giapponesi di Nissan» spiega Mario Cianflone, giornalista responsabile della sezione motori del Sole 24 Ore ed esperto di automotive. «Inoltre, la fabbrica della Bassa Sassonia diverrà una sorta di matrice: le altre gigafactory Volkswagen nel mondo saranno dei cloni di Salzgitter» aggiunge Cianflone.

Un confronto a tutto campo con l’Europa al centro

Volkswagen, ovviamente, non è l’unico giocatore in questa partita che vede impegnati i principali competitor mondiali (da Stellantis a Mercedes, da Tesla a Nissan passando per i cinesi Byd, Baic, Geely). Il confronto tocca tutti i continenti, ma il principale terreno di scontro ha tutta l’aria di essere l’Europa, dove, stando ai dati più recenti e agli annunci fatti dai singoli gruppi, sono previste circa 40 gigafabbriche (una decina solo in Germania) sulle 90 circa a livello globale. Le altre sono in Asia (una trentina), Stati Uniti (circa quindici), Sud America, Africa e Australia.

«L’Europa si sta dimostrando l’area più importante per lo sviluppo delle batterie – afferma Claudio Rossi, docente di Sistemi di propulsione elettrica all’Università di Bologna – E’ qui che si sta registrando la maggiore richiesta e quindi si concentrano i principali gruppi. Il numero di progetti annunciati per i prossimi anni, se saranno tutti realizzati, produrrà un numero di batterie più che sufficiente a soddisfare l’intero mercato continentale dell’auto, pari, nel 2021, a circa 11,7 milioni di immatricolazioni».

Le incognite non mancano. Sulla carta, si parla di gigafactory per circa 700 Gwh complessivi in Europa, che vorrebbe dire equipaggiare oltre 13 milioni di veicoli con batterie da 50 Kwh: di solito, gli studi utilizzano questo dato per identificare una batteria standard. In realtà, sottolinea Cianflone, «produttori e mercato si stanno orientando verso modelli che consentono margini maggiori, che richiedono batterie da 80 Kwh e garantiscono consumi di 15-20 Kwh per 100 km. Andiamo verso una mobilità sostenibile fatta di veicoli più grandi e costosi che richiedono batterie più performanti».

Un altro punto interrogativo riguarda quanti dei progetti ipotizzati vedranno effettivamente la luce, anche perché le cifre in campo sono decisamente grandi. Se è vero che il costo per costruire una batteria agli ioni di litio è sceso dai 300 euro al Kwh del 2016 ai 131 del 2021, è anche vero che solo nella seconda metà del decennio si scenderà al di sotto dei 100 euro al Kwh, per arrivare a 90 nel 2030. Almeno secondo il Global Automotive Outlook 2022 di Alix Partners.

«La pandemia dovuta al Covid prima e la guerra in Ucraina poi non hanno agevolato la road map della transizione» riflette Francesco Vellucci, ingegnere ricercatore del Laboratorio di Sistemi e tecnologie per la mobilità sostenibile dell’Enea e referente nazionale per il settore Batterie nell’ambito del Set-Plan (Strategic Energy Technology Plan) dell’Unione Europea. «Stiamo assistendo a una maggiore difficoltà nel reperire le materie prime e i microchip, e a un conseguente aumento dei costi» sottolinea.

«Oggi – ricorda Claudio Rossi ­– realizzare una gigafactory per batterie significa essere in grado di investire 80-100 milioni di euro al Gwh. Inoltre, non si costruisce una fabbrica di quel genere dal nulla, in un prato. Ci vogliono progetti pilota, tecnologie di processo e linee vere e proprie per gli step successivi». Proprio come sta accadendo a Salzgitter, dove la sperimentazione esiste già, tecnologie e conoscenza pure.

Tuttavia, passare dalla teoria alla pratica non è semplice e lo dimostra anche il fatto che, al momento, gli impianti già operativi in Europa sono relativamente pochi e hanno richiesto anni di gestazione, tra questi: Britishvolt, Northvolt, Samsung, Sk e Lg.

«La transizione non la decide la Ue o il Governo. La decide il mercato» puntualizza Claudio Rossi. E, infatti, le previsioni per i prossimi anni contenute nel rapporto di Alix Partners sono piuttosto chiare. Nel 2035 l’Europa sarà il territorio dove l’auto elettrica avrà la maggior quota di mercato: 83%, cui va aggiunto un 2% di Phev (plug-in hybrid electric vehicle) e un 13% di mild-hybrid. I tradizionali veicoli con motore a combustione interna (Ice) varranno appena il 2%. In pratica, sarà più che ribaltato il quadro attuale. In Cina la quota di mercato delle vetture elettriche salirà dal 12% di oggi al 56% (91% considerando anche le varie tipologie ibride); negli Usa la mobilità elettrica passerà dal 3% di oggi al 59% (anche in questo caso 91% aggiungendo le ibride).

Grandi investimenti

Questa trasformazione, va da sé, prevede un’impennata di investimenti: 526 miliardi di dollari tra il 2022 e il 2026, dei quali 100 in Nord America, 94 in Europa, 92 in Cina. Nello studio del Fraunhofer Institute di Monaco di Baviera dedicato alle batterie allo stato solido – su cui il settore punta molto per incrementare affidabilità e autonomia e ridurre i costi, ma che non dovrebbero essere disponibili per auto e camion prima della fine del decennio ­– si prevede per il modello tradizionale agli ioni di litio un mercato mondiale compreso tra i 2mila e gli 8mila Gwh nel 2035, cui aggiungere dai 20 ai 50 Gwh di batterie allo stato solido. Per quell’epoca il costo di costruzione dovrebbe scendere a circa 75 euro al Kwh.  

I margini di crescita del settore sono grandi, se si pensa che nel 2021 la domanda di batterie agli ioni di litio è stata di 340 Gwh complessivi (raddoppiata rispetto all’anno precedente) secondo i dati del Global Electric Vehicle Outlook 2022 dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea). Tutti gli scenari futuri sono lì a spiegare il grande attivismo e gli investimenti miliardari pianificati dai grandi gruppi automotive a livello globale. Tuttavia, «l’Europa, e con essa l’Italia, sono in ritardo di parecchi anni. Il settore è dominato dai competitor asiatici e in particolare dalla Cina» ricorda Beatrice Pulvirenti, docente dell’Università di Bologna, dove si occupa tra le altre cose di ricerca sulla gestione termica delle batterie al litio.

Lo strapotere della Cina

L’Outlook della Iea mostra in particolare lo strapotere della Cina nella produzione delle materie prime (nickel, litio, cobalto, grafene con quote dal 35 al 70% circa), nella realizzazione dei componenti delle celle, nella produzione delle batterie (oltre il 75% a livello globale). Il maxi-investimento di Volkswagen e quelli più o meno analoghi di Stellantis, Mercedes e compagnia sono solo un primo passo nella difficile rincorsa.

Come si accennava all’inizio, «l’obiettivo di tutti i progetti di cui si leggono gli annunci è avere capacità autonoma di processo, produzione e anche di prodotto – rimarca Claudio Rossi – visto che per il momento si acquistano i diversi componenti da chi li produce. Col tempo, se cresceranno le competenze aumenterà anche l’indipendenza».

Quando si ha un vantaggio tecnologico e industriale strategico, però, si fa di tutto per non farselo portare via e per consolidare la propria posizione. E infatti, i vari progetti di gigafactory di batterie in giro per il mondo, a cominciare dall’Europa, vedono i grandi gruppi cinesi, coreani e giapponesi presenti: autonomamente o con partner occidentali. E spesso, come sottolinea Rossi, «i processi che riguardano le aziende asiatiche sono, per così dire, a porte chiuse. Questo significa che, anche se sono utili per l’industria europea, non c’è trasferimento di conoscenza o coinvolgimento dei partner europei».

Una variabile che potrebbe cambiare le carte in tavola e aumentare la competitività occidentale è quella della «tracciabilità di tutta la filiera, dall’estrazione delle materie prime nelle miniere – dal litio al cobalto ­– all’assemblaggio fino al riciclo e allo smaltimento delle batterie. Oggi, considerando anche il trasporto, produrre una batteria standard comporta l’emissione di 2.596 kg di Co2» afferma Beatrice Pulvirenti. Ma c’è anche un costo sociale, soprattutto legato alle condizioni di lavoro, su quale non c’è molta trasparenza, in particolare al di fuori del mondo occidentale. In questo senso l’introduzione di normative chiare cui tutti debbano attenersi potrebbe costringere i produttori a confrontarsi ad armi pari. «Tra la miniera e la fabbrica c’è un processo che quasi sempre avviene in Cina e che molto spesso è oscuro. Deve diventare più trasparente», rincara Claudio Rossi.

Il ruolo dell’Italia

E qual è, o quale potrebbe essere, il ruolo dell’Italia in questo immenso campo di gioco globale? «Al momento sono previste quattro gigafactory, chiarisce Francesco Vellucci. La più nota è quella annunciata da Stellantis a Termoli, che dovrebbe essere il terzo polo del gruppo in Europa dopo Douvrin in Francia e Kaiserslautern in Germania». Il Ceo, Carlos Tavares, ha annunciato investimenti per oltre 30 miliardi di euro nell’elettrificazione e nel software entro il 2025, un piano che prevede anche una gigafactory con Samsung negli Usa, a Kokomo nell’Indiana, e una con Lg in Canada, a Windsor, Ontario.  

In Italia dovrebbero sorgere anche le gigafactory di Italvolt in Piemonte, vicino a Ivrea, quella di Fincantieri a Piedimonte San Germano (Frosinone), nel Lazio «e quella di Faam che prevede uno stabilimento in provincia di Caserta in grado di arrivare a 8 Gwh a regime, spiega Vellucci . Produrrà batterie al litio-ferro-fosfato che hanno affidabilità e convenienza economica, destinate sia ad applicazioni stazionarie, industriali, e anche a veicoli industriali».

Secondo Claudio Rossi, dell’Università di Bologna, l’Italia ha anche un’altra importante carta da giocare nel contesto globale: «Penso all’equipment di produzione, all’assemblaggio delle celle, alle linee di produzione. Stiamo parlando di enormi impianti automatizzati. È un settore nel quale noi vantiamo dei leader a livello mondiale come il comparto dei macchinari per il packaging, o come Comau. Possiamo avere un ruolo importante: siamo di fronte a un mercato che supera quello delle sigarette e del packaging alimentare. E’ una grande opportunità».

Carlo Andrea Finotto, Il Sole 24 Ore

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