Le guerre del futuro tra droni, soldati e robot

2-09-2022 | News

Lo sviluppo di armi sempre più autonome trasforma gli scenari bellici e solleva una serie di considerazioni etiche che andranno attentamente valutate.

Quella dei droni è ormai una tecnologia affermata e diffusissima, sia per usi civili sia, e sempre più, per usi militari. Ne vediamo notizia ogni giorno dal fronte russoucraino, ma anche in Medio Oriente dove, nella guerra non dichiarata dall’Iran contro Israele, i droni da combattimento vengono usati in misura crescente da ambo le parti. E addirittura Teheran ne sta fornendo all’armata putiniana in modo continuativo da qualche tempo.

Nell’uso militare i droni operano sia singolarmente sia a gruppi o, meglio, a sciami. Recentemente uno sciame di 130 droni si è levato in volo nei cieli di Cambridge, in Massachusetts. L’operatore li controllava non dalla classica scrivania con un joystick, ma usando un’interfaccia di realtà virtuale che consente di sapere cosa ogni singolo drone osserva. È una tecnologia dirompente messa a punto per il Pentagono dalla società Raytheon, che sta lavorando con la Defense advanced research project agency (Darpa) nel programma Offset. Il team ha anche creato un’interfaccia che consente agli operatori di impartire allo sciame comandi vocali e agire rapidamente mantenendo la consapevolezza della situazione.

Le guerre dei prossimi decenni prevedono una grande quantità di fattori innovativi: nuove tecnologie, nuove minacce, la fine degli armamenti pesanti, la sostituzione, in alcuni ambiti, degli umani con droni, robot e cyborg. Un recente rapporto della National Security Commission on Artificial intelligence Usa descrive il potere dell’intelligenza artificiale nel trasformare il modo di combattere e invita il Governo federale a destinare al comparto maggiori risorse. Una spinta necessaria a fronteggiare l’avanzata di Cina e Russia, che sono impegnate a sviluppare armi autonome e investono risorse significative nella ricerca e sviluppo di quei sistemi. Tra i Paesi che dovrebbero crescere di più ci sono anche il Regno Unito, che nella sua strategia di difesa dichiara di puntare sulla robotica militare, e Israele, che è già leader nella produzione di armi autonome. Non sorprende dunque che a livello globale si parli di nuova corsa agli armamenti.

L’avanzata dei droni

Alla fine del 2020, Armenia e Azerbaigian hanno combattuto la seconda guerra per il possesso della regione caucasica del Nagorno Karabakh. E i droni fanno la loro parte. In particolare, sembra essere molto usato un drone chiamato Iai Heron, sviluppato dall’azienda statale Israel Aerospace Industries, che puntano un bersaglio per distruggerlo all’impatto. Ecco perché sono noti come droni kamikaze. Nell’ultima guerra del Nagorno-Karabakh non erano solo usati per fare propaganda, ma hanno costituito uno degli aspetti chiave del conflitto. L’Azerbaigian ha speso nell’acquisto di queste armi sofisticate ingenti somme di denaro e disponeva di 200 unità di quattro modelli diversi; l’Armenia aveva solo un modello di produzione propria e di piccola portata. Con la vittoria dell’Azerbaigian, il conflitto del Nagorno Karabakh può essere considerato il primo vinto anche con l’aiuto di armi autonome.

Robot e armi robotizzate

Se i droni avanzano, la parte del leone la fanno le armi robotizzate e gli stessi robot da combattimento. Ci sono i veicoli aerei a pilotaggio remoto (UCAVs), ma anche i carri armati come il russo Uran-9, le navi da guerra senza pilota come la Sea Hunter degli Stati Uniti. 

In effetti, le armi robotiche stanno diventando alternative sempre più presenti nelle strategie militari. I robot da combattimento sono potenzialmente l’arma più dirompente, sebbene al momento rimangano in una fase sperimentale. I veicoli sono teleguidati dai soldati attraverso telecomandi e sensori, ma l’obiettivo potrebbe essere quello di renderli sempre più autonomi dagli umani. Per la prima volta, nel settembre 2021 i soldati dell’esercito degli Stati Uniti hanno combattuto in addestramento contro un contingente “avversario” che includeva veicoli robotici durante un’esercitazione in Louisiana. Tra le fila del reggimento di fanteria c’erano due veicoli robotici da combattimento a otto ruote, denominati Project Origin, progettati per esplorare e fare fuoco sulle posizioni nemiche in guerra. Questo è il modo in cui evolverà il combattimento a terra nel tempo, scaricando il rischio tattico per gli umani sui robot.

Una questione scottante

Negli ultimi anni, il dibattito su come gestire i sistemi di intelligenza artificiale potenzialmente mortali ha assunto centralità. L’uso dei robot in guerra è una questione particolarmente scottante, che chiama in causa dilemmi etici e morali. In estrema sintesi, i sostenitori affermano che tali macchine semiautonome o autonome consentono agli eserciti di proteggere i loro soldati riducendo la perdita di vite umane. I critici temono che ciò segni un altro passo pericoloso verso l’affidamento ai robot della capacità di decidere sulla vita e la morte. Il segretario generale delle Nazioni unite António Guterres ha dichiarato: «La prospettiva di macchine con la discrezione e il potere di togliere la vita umana è moralmente ripugnante».

I problemi sono potenzialmente tanti e non sono da sottovalutare. Comprendono questioni sensibili come l’incapacità delle macchine di spiegare le loro decisioni, gli errori nel compiere gli attacchi (incapacità di distinguere tra militari e civili) e il rischio di ignorare le convenzioni di guerra. Un’idea condivisa da molti è che l’uso di soldati robot abbasserà la soglia di ingresso in guerra degli Stati, rendendo più probabili conflitti futuri. 

Secondo alcuni esperti, l’intelligenza artificiale arriverà inevitabilmente a prendere decisioni letali sul campo di battaglia, implicando l’eventualità di rischi di potenziali malfunzionamenti o errori. Una volta creata, una tecnologia verrà sicuramente utilizzata e alla fine il rischio di affidare alle macchine il controllo sugli attacchi letali diventerà effettivo. Così si è espresso un generale americano: «Hai creato la tecnologia, hai messo in atto processi per farla funzionare, ma poi, per operare alla velocità della guerra, essenzialmente la stai accendendo e te ne fidi. Ma un missile iper-veloce in arrivo su una portaerei non hai tempo per tracciarlo, non ha il tempo il comandante di essere nel ciclo decisionale». E, poiché l’essere umano non ha la capacità di rispondere abbastanza velocemente, la decisione verrà inevitabilmente affidata ai robot.

I super soldati “potenziati”

Tra i cambiamenti potenzialmente più sorprendenti derivanti dagli sviluppi tecnologici, vi è il miglioramento delle capacità dei singoli soldati per la raccolta di informazioni, la mobilità e la resilienza nei conflitti. La realizzazione del cosiddetto “soldato potenziato” è tra le principali tendenze future a medio termine menzionate dall’Agenzia europea della difesa in un documento che porta alcuni esempi di tecnologie abilitanti (biologiche, cibernetiche) che potrebbero condurre a questo obiettivo. Tra le tecnologie contemplate, l’uso di esoscheletri per aumentare la forza fisica, processi di alterazione genetica e nanotecnologie per migliorare le capacità cognitive nonché farmaci per potenziare la resistenza. 

Sebbene l’uso di queste tecnologie sarà limitato dai vincoli etici e legali, potrebbero aumentare la capacità degli individui di raccogliere ed elaborare informazioni, resistere agli effetti dei patogeni e alle minacce chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari, e beneficiare di una migliore cognizione, forza, velocità e altre capacità.

Il miglioramento di queste caratteristiche, dice l’Eda, «potrebbe essere necessario non solo a causa della diffusione di malattie attraverso maggiori spostamenti di popolazione e potenziali effetti del cambiamento climatico, ma anche per la possibilità che la proliferazione tecnologica possa portare ad attori ostili in possesso di armi». 

Altre tecnologie che, secondo l’agenzia, potrebbero consentire alle forze degli Stati europei di operare nel futuro ambiente strategico sono le armi a energia diretta (Dew), progettate per danneggiare bersagli a lunga distanza, come le armi laser a radiofrequenza, che potrebbero rivelarsi efficaci «per contrastare sciami di aerei a pilotaggio autonomo»; satelliti e pseudo-satelliti, ossia aerei estremamente leggeri alimentati da energia solare, in grado di restare in volo per mesi e fornire una copertura prolungata e ad alta definizione di specifiche regioni della Terra; realtà virtuale aumentata e nuove tecnologie di lancio per garantire l’accesso europeo allo spazio.

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