È l’hybrid work il futuro del lavoro

6-06-2022 | In evidenza in HP, News

Hybrid work, o lavoro ibrido. Un mix variabile di lavoro in presenza e lavoro in remoto. Ed è già qui, anche se certamente ne vedremo ulteriori sviluppi nei prossimi mesi e anni.

Due anni di pandemia e di ricorso a quello che, in mancanza di termini migliori, è stato chiamato smart work, hanno infatti cambiato il mondo del lavoro e le abitudini/preferenze dei lavoratori. Si è capito che il luogo fisso di lavoro non è in molti casi, una necessità e che una ragionata e consapevole alternanza di lavoro in ufficio e lavoro da remoto migliora sia il lavoro che la qualità della vita. 

Dunque, il lavoro ibrido che, secondo l’edizione 2022 del rapporto annuale di Microsoft, il Work Trend Index, interessa ormai il 53% dei lavoratori interpellati in una indagine mondiale che ha coinvolto oltre 31.000 soggetti in 31 Paesi, tra cui l’Italia. Per quanto lieve, dunque, è una maggioranza ed è destinata a crescere. Già oggi il lavoro ibrido è praticato da ben il 38% dei lavoratori, quando solo un anno fa si limitava al 31%. 

“Non siamo le stesse persone che andavano al lavoro a inizio 2020”, è la constatazione che lo studio di Microsoft mette in evidenza. L’esperienza degli ultimi due anni ha rimescolato le carte, il che vuol dire le priorità. I dipendenti, un po’ dappertutto, hanno preso a riconsiderare i pesi relativi tra lavoro e vita privata e se una quota, minoritaria ma importante, lascia il lavoro senza avere già pronta una immediata alternativa, molti di più stanno ricalcolando l’equazione che pondera ciò che veramente valga la pena di fare. Un po’ a tutte le età, con una leggera prevalenza di donne e genitori con figli, ma soprattutto nelle nuove generazioni, ossia i Millennials e la Gen Z. Per loro una cosa è chiara: non si torna indietro.

E le aziende? Faranno bene, sottolinea il Work Trend Index, a non ignorare questa evoluzione e neppure a sottovalutarla. Quello che si sta verificando è un fenomeno sociale che rimette in discussione obiettivi, valori e principi. Insomma, l’equazione vita-lavoro è cambiata e la cosa migliore da fare è comprenderla a fondo e trarne il meglio, a vantaggio di tutti.

Nuove priorità, nuove identità

Quando si parla di lavoro ibrido il punto centrale è la flessibilità. Un modo rigido e troppo strutturato di concepire e organizzare il lavoro male si accorda con un contesto sempre più incerto e volatile. L’acronimo VUCA è magari poco musicale, ma rende bene l’idea di una realtà che cambia velocemente (volatile), crea incertezze (uncertain, incerta) ed è sempre più complessa e ambigua. Insomma, si evolve una nuova visione del mondo dove inevitabilmente cambiano le priorità e mutano le identità. Nella nuova equazione della vita crescono d’importanza le variabili legate a salute, famiglia, tempo libero e scopo (purpose), mentre passano in secondo piano le variabili di denaro, carriera, privilegi e benefici. Infatti, il 54% degli italiani è ora più propenso a dare priorità alla propria salute e al proprio benessere rispetto al lavoro. 

Per perseguire i nuovi obiettivi c’è chi lascia il lavoro (se ne parla come il Great Reshuffle, o anche il Big Quit o la Great Resignation): il 17% nel 2020 e il 18% nel 2021 (il 17% in Italia), con tendenza a ulteriore crescita.

Chi resta ridefinisce i propri obiettivi.

Infatti, la ricerca Microsoft svela una nuova realtà, finora segnalata ma raramente quantificata: i primi cinque motivi per i quali si lascia hanno a che fare con il proprio benessere personale, anche mentale (il 24%), l’equilibrio vita-lavoro (il 24%), i timori legati alla pandemia (il 21%), una scarsa fiducia nel management e nella leadership (21%) e una mancanza di flessibilità negli orari o nei luoghi del lavoro (21%). Solo dopo viene citata una motivazione che in passato era certamente in testa: non avere ricevuto l’adeguato riconoscimento e promozione che si ritiene di meritare (19%).

È interessante un dettaglio relativo a chi già pratica l’ibrido: il 57% è disposto a considerare una formula ancora più ibrida tra lavoro in presenza e in remoto e il 51% di chi non lo fa ancora desidererebbe operare in questo modo. Segno, dunque, che la combinazione regge, al punto che il 43% dei dipendenti dichiara di voler considerare un nuovo lavoro nell’arco del prossimo anno (il 37% in Italia) e, addirittura, il 52% (49% in Italia) tra i componenti delle nuove generazioni (ma solo il 35% tra i Baby Boomers e la Gen X). E si sbaglierebbe se si pensasse che questa voglia di cambiamento riguardi solo i dipendenti di medio livello: anche i leader esprimono al 47% la loro disponibilità a considerare un lavoro lontano da casa, contando sul lavoro ibrido.

In sintesi, i dipendenti guardano a un nuovo rapporto con il lavoro e con il mondo del lavoro, a un nuovo contesto nel quale contino di più una cultura “positiva”, un chiaro scopo, più flessibilità e, perché no, anche qualche giorno in più di vacanza. 

Il difficile equilibro dei manager

Fin qui il progressivo spostamento delle priorità dei dipendenti. Ma che ne pensano i manager? L’ultimo biennio ne ha messo in luce il ruolo cruciale nella gestione del cambiamento, ma siamo ben lontani da un chiaro punto di equilibrio tra nuove aspettative dei dipendenti e legittime esigenze di chi ricopre posizioni di responsabilità. I leader, per dirla in breve, si sentono in mezzo al guado e sostanzialmente privi di quel potere che è considerato necessario per percorrere le nuove strade. Una tensione che il 54% dei manager mette in evidenza, con addirittura il 74% che ritiene di non avere l’influenza o le risorse per gestire adeguatamente la transizione. Infatti, in Italia il 71% dei dirigenti auspicherebbe avere maggiori margini di manovra per gestire il cambiamento dei team. Tutto questo non sorprende, dato che sono molte le aziende che richiedono un ritorno al lavoro in presenza. Lo dicono il 50% dei leader in media (un po’ meno, il 47%, in Italia), ma con punte del 55% nel manufacturing, del 54% nella distribuzione e del 53% nel settore dei beni di consumo.

È chiaro che c’è un bel contrasto con le aspettative, e le richieste, di lavoro ibrido tra i dipendenti. E qui salta fuori la mai ben precisata questione della produttività. I dipendenti che hanno lavorato da remoto sostengono in maggioranza (80%) di essere stati ed essere almeno altrettanto, o più, produttivi, contro un 54% dei leader che ha verificato un calo. Si tratta di una questione centrale, in cui gioca una parte importante anche la tecnologia che ha consentito di implementare i nuovi modelli di lavoro. Manager e leader hanno affrontato enormi problemi organizzativi e pratici nei diversi periodi di lockdown, non essendo mancati problemi di gestione psicologica in una gamma dal più blando al più acuto. E questo in un contesto economico di forte recessione e di altissima volatilità e incertezza. Per quanto forte e motivata, la nuova domanda che sale dal mondo del lavoro pone difficili questioni di gestione ed equilibrio cui i decision maker hanno chiaramente difficoltà a fare fronte.

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