Le nuove frontiere del nomadismo digitale (di Andrea Granelli)

9-12-2021 | Studio

La pandemia ha accelerato forme di lavoro innovative e complesse, basate su un uso sapiente del tempo e dello strumento digitale, destinate a permanere anche in futuro. Non si tratta, però, di banale remotizzazione del lavoro, ma di modalità del tutto nuove che il digitale rende possibili e che occorre imparare a padroneggiare. L'articolo pubblicato su Macrotrends 2021-2022.

di Andrea Granelli 

Il concetto di long CoVid – le conseguenze sulla salute di chi è stato contagiato dal CoVid e cioè i problemi che permangono anche dopo la scomparsa dei sintomi acuti – non è solo una novità drammatica di questa malattia particolamemente subdola, ma è anche una potente metafora che ci ricorda che gli impatti sul mondo del lavoro del distanziamento sociale e dei rischi futuri di nuove pandemie, unite a una sempre più potente e diffusa rivoluzione digitale, saranno non solo duraturi ma anche a rilascio progressivo

Sappiamo bene che il digitale, unito alle trasformazioni organizzative, aveva già reso i confini delle aziende molto meno definiti e più porosi. Ora – dopo questo lungo periodo di distanziamento sociale forzato – la differenza fra dipendenti, precari, consulenti, free lance e fornitori è ancora più labile. Oltre tutto, la necessità di lanciare processi di radicale trasformazione nelle aziende per adattarsi a mercati sempre più mutevoli sta non solo trasformando il cambiamento in una nuova forma di permanenza, ma sta richiedendo in modo continuativo – quasi stabilizzato – rinforzi esterni ai processi di cambiamento (progettisti digitali, designer organizzativi, valutatori e formatori di competenze, coach, …). 

Per questi motivi è riduttivo parlare di smart work che, in questo periodo, si è generalmente esplicitato nel lavorare fuori dall’ufficio con un po’ di supporto di strumenti digitali (talvolta era sufficiente il telefono e qualche applicazione standard sul proprio PC) e facendo sostanzialmente ciò che si era sempre fatto. 

La questione che però si sta ponendo è concepire momenti più o meno lunghi di lavoro fuori dall’ufficio, spesso neanche nello stesso luogo, svolgendo insieme ai colleghi attività che non necessariamente si facevano prima. Sarebbe allora opportuno incominciare a parlare di “nomadismo digitale”, che si basa su due importanti capacità:  

  • usare al meglio le nuove piattaforme digitali e le potenzialità del mondo dei dati;  
  • saper lavorare – dovunque – senza perdere in efficienza e in efficacia. 

Questa forma di lavoro richiederà di ripensare a molte pratiche operative, ad esempio le riunioni, e soprattutto di avere una nuova sensibilità per gestire una delle risorse più pregiate che l’azienda assegna a un manager: il tempo, suo e dei suoi collaboratori. Quel tempo sempre più prezioso, che gli strumenti digitali hanno promesso di dilatare ma che, invece, è divantato sempre più compresso. Ha colto questa dinamica con acutezza Elias Canetti in La provincia dell’uomo: “Tutto divenne più rapido, perché ci fosse più tempo. C’è sempre meno tempo”. Tempo che lo smart work ha reso ancora più scarso e deperibile con interminabili (e spesso inutili) riunioni senza pause.  

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