Harvard Business Review Italia
Dopo la crisi globale innescata dalla pandemia, il mondo dovrà affrontare importanti sfide che occorrerà necessariamente affrontare in maniera collettiva e che non sono confinate alla sola sfera economica. Si pensi, ad esempio, alla lotta ai cambiamenti climatici, alla gestione dei flussi migratori, al miglioramento della sicurezza informatica, e così via. Sul versante economico, il protezionismo torna dopo decenni di progressiva, per quanto imperfetta, apertura commerciale. Si tratta dell’ultima delle tre “ondate” di globalizzazione del Novecento, che ha mostrato un elemento di novità rispetto alle due precedenti, ossia il consistente aumento degli scambi nelle economie emergenti, oltre che in quelle avanzate. Gli effetti, come noto, non sono sempre stati positivi, o meglio, non sono stati positivi per tutti. La globalizzazione ha infatti mostrato i suoi limiti con riguardo all’equa distribuzione dei benefici, generando “vincenti” – in particolare le fasce povere delle economie emergenti – e “perdenti” – in primo luogo la classe media delle geografie avanzate.
Nello stesso periodo si è assistito a due forti “ondate” critiche nei confronti della globalizzazione. La prima, negli anni Novanta, era stata guidata da forze politiche di sinistra che intendevano difendere gli interessi dei Paesi del Sud del mondo. In particolare, i movimenti no-global si concentravano sui presunti effetti negativi del commercio e dei movimenti di capitali sulle economie meno sviluppate. La seconda, avviata nel periodo post-crisi, e tuttora in corso, è stata originata da movimenti di destra a “difesa” delle economie del Nord. Si pensi ai dazi introdotti o minacciati dagli Stati Uniti, alla Brexit, e più in generale, alla crescente retorica nazionalista che sta interessando un buon numero di Paesi in Europa.
L’impasse del multilateralismo: un’occasione per l’Europa?
In questa fase di stallo del multilateralismo, Bruxelles si sta ponendo in misura sempre maggiore come attore protagonista nella promozione del libero scambio. Negli ultimi anni infatti, l’Unione Europa (UE) ha sottoscritto importanti intese commerciali, le più recenti con Canada e Giappone; altri accordi sono in fase di negoziazione, quale quello con i Paesi dell’area Mercosur. Si tratta di un chiaro segnale contro i venti di protezionismo che, peraltro, consente al Vecchio Continente di avere un ruolo significativo nell’influenzare le regole del commercio mondiale.
Inoltre, sono molti gli Stati non europei che, da un lato non approvano l’approccio degli Stati Uniti all’interno delle istituzioni internazionali, dall’altro sono preoccupati dalle ambizioni di leadership della Cina in tali consessi, timori in parte condivisi anche dall’UE, che però non rinuncia alla strada del dialogo con Pechino; o, ancora, biasimano l’atteggiamento geopolitico della Russia. In tale contesto, l’impegno alla cooperazione da parte dell’UE la rende un attraente polo alternativo per le questioni da risolvere in sede multilaterale. L’Europa ha poi un peso rilevante all’interno delle istituzioni commerciali e finanziarie esistenti, come la WTO e il Fondo Monetario Internazionale (FMI). L’attacco dell’amministrazione Trump alla WTO ha già spinto l’UE a presentare proposte di riforma per l’organismo. Infine, l’UE dovrebbe ambire a un ruolo di primo piano nella definizione delle regole di quei settori che si stanno affermando in maniera imponente nel panorama globale, quali la tecnologia, la robotica e l’intelligenza artificiale.