Possibilità di dilazionare i pagamenti relativi a Iva e tasse sugli utili nei prossimi mesi, modifiche alla legislazione sul lavoro in modo da poter ridurre le ore lavorative dei dipendenti, specifiche strutture di finanziamento per startup che non sono in grado di completare aumenti di capitale per via della crisi, prestiti agevolati e garantiti dallo stato, senza limiti legati al fatturato della società: sono alcune tra le misure proposte nelle principali economie europee per salvaguardare le startup.
Molte di queste, per esempio in Francia o UK, sono anche già state recepite. Diversa è la situazione in Italia dove, nonostante il settore versi in stato di sofferenza, il governo non ha ancora emesso alcun provvedimento e le imprese innovative non hanno accesso, nella maggior parte dei casi, ai prestiti previsti dal decreto liquidità legati ai parametri di fatturato. Anche qui, però, l’ecosistema delle startup e dell’innovazione si sta muovendo.
La lettera al governo
Una lettera inviata dai rappresentanti di questo mondo, capofila l’associazione di riferimento Italia Startup, chiede che l’imprenditoria innovativa trovi un ruolo centrale nelle soluzioni per affrontare l’emergenza Covid-19, di supportare le startup durante la difficile situazione economica nel breve periodo e di coinvolgerle nei piani di crescita in risposta alla crisi economica. «In questo momento particolare è più che mai necessario dare sostegno alle startup e a tutti gli attori dell’ecosistema dell’innovazione attivando tutti gli strumenti per dotarle di liquidità che è oggi il vero DPI per i nostri innovatori – dichiara Angelo Coletta, presidente di Italia Startup -. Italia startup, insieme a tutti gli altri attori del settore porterà sul tavolo del governo una proposta strutturata di proposte in questa direzione. La Francia ha appena stanziato 4 miliardi. Ora tocca all’Italia».
Nella lettera si chiedono interventi a partire da quelli di breve periodo: dall’istituzione di una task force nazionale e di un «ambasciatore delle startup» per instaurare un dialogo continuo tra governo e innovatori a quella di uno sportello unico per informare le startup e fornire loro l’accesso a tutti gli strumenti disponibili per affrontare la crisi. Si chiedono poi misure per garantire che le startup non debbano affrontare una crisi di liquidità a seguito del rallentamento dell’economia globale, tra cui il rinvio delle scadenze mensili fiscali e sociali, un congelamento del rimborso degli investimenti governativi, l’iniezione di capitale negli ecosistemi attraverso misure di rifinanziamento e liquidità.
Infine tra le proposte c’è la detrazione fiscale al 65% per tutti gli investimenti in Pmi e startup innovative fino ad un massimo di 1 milione di euro, per investimenti effettuati entro il 30 ottobre 2020 e, in caso di assunzione di personale o di reintroduzione dalla cassa integrazione, azzeramento dei contributi per tutto l’anno 2020.
La petizione per uno «startup emergency act»
Anche VC Hub Italia, associazione di venture capital, si è mossa per chiedere provvedimenti a sostegno del settore e ha lanciato una petizione su Change.org intitolata Un futuro senza futuro? Startup emergency act che ha superato le 5 mila adesioni. Le richieste vanno dall’estensione a startup e Pmi innovative delle misure presenti nel decreto Cura Italia a iniziative eccezionali a sostegno delle filiere dell’innovazione per dare all’ecosistema italiano le stesse condizioni dei concorrenti europei. «La somma di 500 milioni di euro originariamente pensata per il pacchetto a sostegno delle startup non dovrebbe essere oggetto di compromessi al ribasso, trattandosi di una frazione minima di quanto messo in campo dagli altri Paesi», sottolinea Fausto Boni, presidente di VC Hub, in un’intervista al Corriere della Sera.
VC Hub si batte per la creazione di un fondo apposito per il settore che preveda l’erogazione di finanziamenti agevolati a lungo termine per ammontare pari a quattro volte l’investimento ricevuto a partire da febbraio 2020 da investitori o soci delle startup e delle Pmi innovative. «È necessaria una misura una tantum – conclude Boni – che preveda un finanziamento a fondo perduto per la copertura al 50% dei costi fissi sostenuti dalle imprese. Per essere adeguato questo fondo dovrebbe essere di ampiezza pari ad almeno 200 milioni».
Giulia Cimpanelli