Dal problema dei dati alla perdita di creatività, fino alle sfide etiche: i dubbi posti dai recenti sviluppi dell’IA sono numerosi, ma occorre saper conciliare controllo e progresso tecnologico.
Carla Collicelli
Secondo molti esperti, l’umanità è di fronte alla più grande rivoluzione scientifica dopo quella industriale, una rivoluzione che sta procedendo rapidamente, senza che vi si dedichi la necessaria attenzione, tra sottovalutazioni, interessi commerciali e applicazioni sempre nuove e sempre più pervasive, che sottopongono diversi settori economici e svariate aree della vita sociale a continui adattamenti. Mentre sarebbe assolutamente necessario guidare la trasformazione in corso con la dovuta attenzione da parte delle istituzioni e delle diverse discipline scientifiche, sia rispetto alle nuove opportunità e potenzialità offerte dalla tecnologia, sia rispetto ai rischi ed ai nodi da sciogliere.
In realtà, secondo gli studi più recenti, esistono 3 tipi di intelligenza artificiale (AI): quella cosiddetta “debole o stretta”, che è dotata di una gamma limitata di abilità applicative, che sostituiscono funzioni semplici dell’attività umana ed agiscono rielaborando conoscenze pregresse, cui sono state addestrate in maniera sostanzialmente ripetitiva; quella “generale o forte”, che dovrebbe porsi quasi alla pari con le capacità umane (e vedremo se ciò è plausibile); e quella detta “super”, che dovrebbe addirittura superare le capacità di un essere umano. L’intelligenza artificiale debole o stretta è l’unico tipo di intelligenza artificiale che abbiamo realizzato fino ad oggi, e che conosciamo per le sue applicazioni entrate ormai nell’uso comune. Basti pensare a Google, Siri, Apple, agli strumenti di previsione, ai droni, ai filtri antispam, alle auto semiautonome, e a molto altro ancora. Ma siamo lontani dall’avvicinarci alle capacità umane (AI generale e forte), per non parlare del loro superamento (AI super).
Purtuttavia i dubbi posti dal recente sviluppo tecnologico nel campo della AI, della robotica e dei social media, e in particolare quelli sollevati recentemente dal prodotto che va sotto il nome di ChatGpt sono tanti e importanti. E sono diventati orami materia di riflessione, analisi e discussione principalmente nell’ambito delle discipline filosofiche, dove sono nati filoni nuovi e dedicati, come la filosofia della mente, la bioetica e la neuro-filosofia, che ruotano attorno a concetti quali human enhancement, trans-umanesimo e post-umanesimo. Ma non va dimenticato che le applicazioni di cui stiamo parlando riguardano pesantemente tutte le altre discipline e tutti gli ambiti del sapere e dell’esistenza, ivi comprese le discipline sociali, le politiche dello sviluppo sostenibile e la stessa organizzazione della vita collettiva e individuale sul pianeta.
Volendoci limitare alle discipline raggruppate sotto l’etichetta di scienze sociali, non vi è dubbio che queste avvertono la sfida posta dagli sviluppi della AI rispetto a molti aspetti: il modificarsi le possibilità di investigazione e ricerca (il problema dei dati); il superamento dei limiti di pensiero e di azione propri della collettività umana; la perdita della creatività e delle capacità di previsione e progettazione; l’indebolimento della natura relazionale del pensiero e dei processi sociali; e quello della dimensione valoriale dell’esistenza, dalle motivazioni etiche che stanno alla base delle scelte di vita alle attribuzioni di senso all’azione umana.
Per quanto riguarda il problema dei dati, le scienze sociali vedono ampliarsi e modificarsi le possibilità di investigazione e ricerca nel proprio specifico campo di osservazione a seguito della introduzione di nuove e più ampie tecnologie di rilevazione, di algoritmi sempre più complessi per elaborare i dati di riferimento e di metodi e strumenti, nuovi ed inimmaginabili fino a poco tempo fa, per immagazzinare quantità enormi di informazioni che fanno da base alle successive elaborazioni. Il che rende lo svolgimento della specifica attività di ricerca di questo settore spesso farraginoso e colmo di insidie difficilmente controllabili, relative all’integrità stessa del processo di ricerca: frodi scientifiche, mancato rispetto della privacy nell’utilizzo dei dati e possibili manipolazioni delle informazioni diventano in questo nuovo contesto sempre più facilmente praticabili e difficilmente controllabili.
Rispetto al tema del limite, gli scienziati sociali sanno molto bene che quando l’umanità ha preteso e tentato di superare i propri limiti fisici e mentali in maniera incontrollata, è andata spesso incontro a situazioni di grande criticità, se non addirittura a drammi e catastrofi. Basti pensare al consumismo con i suoi eccessi, all’infodemia, alle forme di delirio di onnipotenza rispetto al superamento delle regole collettive della convivenza, a quelle di prevaricazione e di oppressione nei confronti di specifiche categorie sociali, ai rischi insiti nel tentativo di superare i confini etici delle sperimentazioni scientifiche, all’illusione di poter porre fine in via definitiva alla malattia, alla miseria, alla vecchiaia; fino all’abuso di sostanze che permettono l’alterazione degli stati di coscienza e del funzionamento della mente. In particolare la recente pandemia ci ha costretto ad ammettere che proprio il nostro modello di vita e di sviluppo economico e sociale, basato sull’Antropocene, e cioè sul superamento dei limiti posti dagli equilibri ecologici ed ecosistemici, con predominio della specie umana sul resto delle forme viventi e fiducia illimitata nei prodotti ed artefatti che derivano dalla sua attività speculativa, è alla base di molti dei mali della nostra epoca. Le scienze sociali a tale proposito mettono in guardia rispetto alla perdita del senso del limite insita nel tentativo di superare i confini del pensiero umano, segnalando che solo una consapevolezza del contesto generale di vita nel quale l’uomo è inserito e dei suoi limiti può salvaguardarci dalla “deriva catastrofica del futuro” che è di fronte a noi, e che riguarda non solo l’ambiente fisico, ma anche quello sociale e quello tecnologico.
Per quanto riguarda la creatività, come ben sappiamo le scienze sociali, come peraltro anche quelle esatte, si occupano oltre che della descrizione della realtà analizzata, anche della sua interpretazione, dello studio dei processi di evoluzione, cambiamento e trasformazione dei paradigmi di riferimento e della progettazione del futuro. A fronte della deriva retrotopica (indicata da Bauman come tendenza tipica della modernità a guardare al passato), il movimento di pensiero legato agli Obiettivi dello sviluppo sostenibile ed ai principi dell’Enciclica Laudato Si’ rappresenta un’alternativa importante, che pone in guardia rispetto al venir meno della capacità di progettazione innovativa del futuro e della valutazione della sostenibilità futura. Monito che tocca direttamente molti degli aspetti che connotano la produzione scientifica nel campo della ricerca sull’AI, tutta centrata sulla riproduzione, e nel migliore dei casi sulla efficientizzazione del presente e del passato, con scarse possibilità di agire sul miglioramento e sulla costruzione del futuro.
La dimensione valoriale e quella del senso dell’azione umana hanno costituito fino ad oggi per l’umanità intera un faro di riferimento per le scelte, i giudizi, le azioni e le realizzazioni materiali ed immateriali. Il mondo delle regole, più o meno formalizzate dal punto di vista giuridico, costituisce l’asse portante della vita sociale e dello sviluppo scientifico. La debole capacità dei prodotti tecnologici di fare riferimento ai valori e significati (al di là di quanto programmato con il pre-addestramento cui i sistemi sono sottoposti), ed in assenza di una normativa adeguata di settore, pone dubbi molto seri rispetto agli effetti che un pensiero ed una azione guidati dai manufatti dell’intelligenza artificiale possono avere sulla vita umana e sugli assetti societari.
Infine, la dimensione relazionale e comunitaria della convivenza umana è un portato storico di importanza fondamentale, e ci si domanda quindi come un’attività umana basata su strumenti, procedure e prodotti di origine tecnologica e non sottoposti ad alcuna verifica di tipo interpersonale e a nessuno scambio tra entità, istituzioni, culture diverse, possa dare vita ad avanzamenti validi, e non comporti piuttosto il rischio concreto di una progressiva sterilizzazione della dimensione sociale stessa dell’esistenza.
Certo non bisogna dimenticare il portato di avanzamento tecnico e strumentale che le applicazioni dell’intelligenza artificiale stanno producendo in vari campi applicativi, ad esempio in medicina, nella scuola, nel lavoro, nei trasporti, nella ricerca scientifica. E la gente lo capisce. L’ultimo sondaggio Ipsos per il World economic forum indaga, a livello internazionale, la percezione sui prodotti e servizi (28 Paesi su un campione di 19.504 adulti sotto i 75 anni). Per il 60% del campione, l’AI cambierà profondamente la nostra vita quotidiana e la renderà più semplice (istruzione, apprendimento, intrattenimento, trasporti, shopping, sicurezza, ambiente e nutrizione); il 50% afferma di percepire più benefici che svantaggi e il 40% li rende nervosi. Per quanto riguarda reddito, occupazione e relazioni personali e familiari, l’opinione si divide con il 47% degli intervistati che sono d’accordo, mentre per quanto riguarda il costo della vita, la libertà e i diritti, la maggioranza degli intervistati pensa che non sia positivo. In Italia solo il 42% degli intervistati pensa di avere una buona conoscenza di questa tecnologia, per il 53% i prodotti e servizi che la utilizzano cambieranno la loro vita nei prossimi 3/5 anni, per il 54% la renderanno più semplice e per il 50% producono più benefici che svantaggi. In sostanza il sondaggio Ipsos registra un sentiment positivo sul fatto che alcune aree e servizi potranno migliorare grazie all’AI, come l’educazione (74%), l’intrattenimento (75%), i trasporti (72%), la casa (79%), lo shopping (63%), la sicurezza (70%) e l’ambiente (61%). Mentre si riscontrano timori su altre aree come sulla nutrizione (45%), sul reddito (24%), sulle relazioni (39%), sul lavoro (29%), sul costo della vita (27%) e sulle libertà e diritti legali (19%).
L’apprezzamento e la diffusione sembrano in sostanza marciare in avanti a ritmo serrati, pur con alcuni dubbi ed incertezze. Ed è quindi più che benvenuto lo sforzo che alcuni esperti ed alcune aree disciplinari stanno compiendo per riflettere e attrezzarsi predisponendo suggerimenti, regole, principi etici. Ma il tutto avviene per ora in una forma decisamente interna ad ogni area, tutta settoriale, mentre per evitare che gli effetti negativi sull’umanità e la vita delle persone (disagio psichico, analfabetismo di ritorno, debolezza del pensiero critico) siano superiori ai vantaggi pratici (in medicina, nella ricerca scientifica, nella amministrazione), è necessario ripensare le modalità con cui si affronta l’innovazione in corso, rivedendo contenuti e metodi della formazione scolastica, universitaria e professionale, e soprattutto dando vita a gruppi di ricerca interdisciplinari, che non lascino il terreno dell’innovazione tecnologica e dell’intelligenza artificiale nelle sole mani di ingegneri e imprenditori, senza tenere sufficientemente conto degli aspetti psicologici, sociali, economici ed etici.
Anche l’etica da sola, benché importante, non basta. In questo senso la posizione del Cortile Dei Gentili, espressa nel volume Intelligenza artificiale: uno sguardo interdisciplinare, in corso di stampa e che verrà discusso nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile di ASviS al Salone dei Libro di Torino, è quella secondo cui sarebbe sbagliato permettere che le regole blocchino il progresso tecnologico. E il riferimento contenuto nel documento è al principio metodologico storico della scuola gesuitica: “Numquam nega raro adfirma distingue frequenter” (Mai negare, raramente affermare, distinguere frequentemente). Il che significa separare le applicazioni buone da quelle non buone. E introdurre nel processo di innovazione tecnologica, ed in particolare in quello relativo all’intelligenza artificiale, il portato di tutto quel di più che la mente umana ha sviluppato nel corso della storia a corredo della produzione materiale ed immateriale, vale a dire il senso critico, la capacità di immaginare il futuro, le regole etiche e la dimensione delle interconnessioni e delle relazioni interpersonali e comunitarie.
E lo si potrà fare solo se tutte le discipline collaboreranno tra loro nell’accompagnare lo sviluppo dell’innovazione. Le separazioni tra culture, discipline, ideologie e territori mettono a dura prova lo sviluppo globale, occorre puntare sulla connessione tra governi e culture per la creazione di una piattaforma comune di valori condivisi come punto di riferimento per le decisioni da prendere. E le connessioni vanno promosse anche tra discipline scientifiche e relativi ambiti applicativi, oltre che nella collaborazione necessaria tra le tre anime della società contemporanea (statualità, socialità e mercato), superando le contrapposizioni tra pubblico e privato, tra vita privata e vita lavorativa, e tra primo, secondo e terzo settore economico.
Il Piano Nazionale Innovazione 2025 varato nel 2020 recita a questo proposito:” L’innovazione e la digitalizzazione devono far parte di una riforma strutturale dello Stato che promuova più democrazia, uguaglianza, etica, giustizia e inclusione e generi una crescita sostenibile nel rispetto dell’essere umano e del nostro pianeta.” E si propongono 20 azioni molto concrete (sull’identità digitale, l’innovazione nella Pa, le tecnologie informatiche nelle imprese, l’assistenza agli anziani e molto altro ancora), tutte basate sul criterio della intersezione tra innovazione, sostenibilità ed etica.
Il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), a sua volta, prevede un massiccio investimento per i prossimi tre anni sull’innovazione digitale (49,26 miliardi), volto a promuovere la transizione digitale nella scuola (programmi didattici, competenze di docenti e studenti, funzioni amministrative); nella sanità (infrastrutture ospedaliere, dispositivi medici, competenze e aggiornamento del personale); in agricoltura (aggiornamento tecnologico); nei processi industriali e nel settore terziario; nella PA (dotazioni tecnologiche, capitale umano, infrastrutture, organizzazione ed erogazione dei servizi ai cittadini).
Come affermato da Giddens alla fine del ventesimo secolo, il modello di “modernità illuministica”, che consiste nella possibilità di dominare la complessità sociale in maniera pervasiva e dall’alto, non è in grado di assicurare coesione e benessere di fronte al “politeismo disincantato” che caratterizza la cultura diffusa ed i valori dominanti nella società contemporanea. E in un mondo siffatto, che egli chiama di “modernità radicale”, l’unica possibilità per realizzare forme soddisfacenti di convivenza, coesione e sviluppo, è quella legata al rafforzamento dei valori comuni, degli obiettivi collettivi e dei meccanismi di continua ricostruzione della fiducia tra società e istituzioni.
Carla Collicelli, CNR – Ethics e Senior expert ASviS per le Relazioni istituzionali.
Per gentile concessione di Futura Network (www.futuranetwork,eu)