Lavorare in compagnia dell’IA

17-11-2022 | News

L’intelligenza artificiale ormai impatta su quasi ogni aspetto dell’attività lavorativa. Non dobbiamo solo conviverci, ma trarre il massimo da questa collaborazione

di Marco Bentivogli

La crescita delle capacità computazionali, di elaborazione e stoccaggio dei dati sta determinando mutamenti di grande portata. Ed è sempre più diffuso l’impiego dell’intelligenza artificiale (IA) in moltissimi ambiti della nostra vita; un’innovazione che, per la verità, non è recente, ma che è sempre più connotata da velocità e pervasività crescenti e questo ne rende difficile l’elaborazione.

Uno degli aspetti più rilevanti è l’impatto dell’IA sul lavoro. Vi sono diversi livelli di IA: da quella debole, a quella forte, a quella generale. Ovviamente il livello di capacità è determinante nel configurare un ruolo più o meno centrale della persona nel lavoro: dal livello forte a quello generale, gli algoritmi eguagliano e superano le capacità umane, rendendo la questione sempre più complessa. Ma, in ogni caso, in qualsiasi processo o attività articolata in input, elaborazione e output, la persona ha un ruolo importante. L’immissione dei dati non può essere delegata interamente alle macchine poiché si rischierebbe una “pesca a strascico” digitale in cui l’IA raccoglie informazioni di qualità, ma anche distorsioni di ogni tipo. La fase successiva, l’elaborazione va invece delegata alla macchina che, al termine, fornirà la sua valutazione. L’output è il risultato di un calcolo, a cui dobbiamo aggiungere la nostra decisione, basata su una valutazione in cui entrano in campo coscienza, etica, sentimenti, umanità. 

L’intelligenza artificiale è una sorta di cervello sintetico che abilita l’automazione dei processi e che, insieme a sistemi di organizzazione del lavoro evoluti e nuove competenze, sta cambiando il lavoro e la sua natura. Lo sforzo da fare è concentrare l’attenzione su come l’intelligenza artificiale sta ridisegnando la forma e il contenuto del lavoro e la vera sfida sarà la capacità di sviluppare nuove abilità diverse da quelle da cui ci liberano le macchine.

Dove e come entra l’IA nel lavoro

Una delle definizioni più chiare dell’IA è quella che la descrive come “l’arte di delegare alle macchine computazionali mansioni e compiti che oggi le persone sanno fare meglio”. Ma occorre aver ben presente che talvolta il costo di questa rinuncia alla delega è molto elevato: in termini di sicurezza del lavoro, della sua routinarietà e, conseguentemente, di senso e di qualità del lavoro stesso. Peraltro, non tutto è delegabile. L’IA ha un vincolo: riconoscere tutte le azioni degli umani come qualcosa di “calcolabile”. Tutto ciò consente di definire il tipo di lavoro che dovremmo maggiormente sviluppare, quello in cui le nostre capacità sono incontendibili e non calcolabili con e da qualsiasi algoritmo o macchina pensante. La nostra unicità e irripetibilità sono, infatti, il risultato della nostra umanità, da cui derivano il nostro pensiero critico, laterale, strategico e la nostra dotazione di capitale semantico, cioè la nostra capacità di assegnare valore e significato alle cose.

Per quanto riguarda l’Italia, i dati evidenziano, già prima della pandemia tra il 2010 e il 2018, una correlazione positiva tra le professioni esposte all’IA e quelle ad alto contenuto di attività cognitive. E una correlazione negativa, che sembra quindi far presagire uno spiazzamento, dei lavori routinari, sia impiegatizi sia manuali. 

Nei fatti, l’intelligenza artificiale sta trasformando le mansioni lavorative e le occupazioni. Le analisi dei dati del mercato del lavoro in tutti i Paesi convergono su un aspetto: la domanda assoluta e relativa di competenze relative all’IA è cresciuta in tutti i settori industriali e gruppi occupazionali. I lavori che richiedono competenze di intelligenza artificiale hanno un differenziale salariale positivo dell’11% rispetto a lavori simili che non ne richiedono. Tuttavia, l’IA è almeno tanto una sfida tecnologica e manageriale quanto e prioritariamente culturale e progettuale. I reali guadagni di produttività arriveranno solo quando ci saranno manager e soprattutto architetti del nuovo lavoro in grado di utilizzare l’IA per creare e acquisire valore attorno alla persona. 

Che rischi corriamo?

L’interazione e l’ibridazione uomo-macchina pensante sono in forte crescita ed evoluzione. È probabile che, nello specifico, l’intelligenza artificiale ridisegni l’ambiente di lavoro di molte persone, la natura, il contenuto professionale. Nuovi ambienti necessitano di “architetti del nuovo lavoro”. Le criticità, certo, sono evidenti in più ambiti. 

  1. Partecipazione e progettazione: se l’innesto delle tecnologie non viene accompagnato da un robusto investimento nella partecipazione dei lavoratori e nella progettazione delle nuove architetture queste ultime risulteranno deludenti rispetto ai risultati attesi.
  2. Gerarchie, relazioni e percorsi di acquisizione delle competenze di ruolo vanno tutte ripensate su nuovi paradigmi, altrimenti, l’impresa non funziona e il benessere delle persone si deteriora.
  3. I lavoratori “esposti” all’impiego di IA hanno una maggiore occupabilità e salari più alti. Aspetto positivo che non deve determinare una polarizzazione tra lavoratori, con crescita di diseguaglianze. 
  4. Le aziende con un potere di mercato eccessivo posso accentrare i guadagni relativi all’impiego di IA producendo la stessa polarizzazione tra “innovatori e lavoratori tradizionali” a livello di impresa.

Per tali rischi, accanto a una moderna attività regolatoria, occorrerebbe comprendere e agevolare lo sviluppo territoriale all’interno di ecosistemi innovativi, gli unici che possono consentire di abbassare la soglia di accesso a competenze e tecnologie anche per le PMI. 

E il marcato del lavoro?

La tecnologia ha creato, nei decenni passati, più posti di lavoro di quanti ne abbia rimpiazzati. La tecnologia e l’innovazione stanno cambiando la natura del lavoro, portando alla domanda di abilità cognitive avanzate e una maggiore adattabilità tra i lavoratori. I dati di numerose ricerche sull’Europa ci indicano che mentre la tecnologia sostituisce alcune mansioni, in generale aumenta anche la domanda di lavoro. Il digitale “scongela” lo spazio (i suoi luoghi) e il tempo (gli orari) del lavoro. Mette in discussione l’autostrada bicolore lavoro dipendente/autonomo. Cresce la terza corsia, non solo per i lavori collegati alle piattaforme, ma per tutto il lavoro. Le resistenze culturali e ideologiche al riconoscimento del nuovo lavoro lo consegnano al vuoto di nuove normative e di nuovi contenitori giuridici e contrattuali. Le modalità e le condizioni con cui le persone lavorano richiederebbero un urgente ripensamento dei sistemi di protezione sociale che, specie in Italia, non tutelano i contratti non-standard, come le partite iva.

Ma occorre anche aggiungere che, per valutarne la sostituibilità, l’IA non sa fare tutto e che anche le persone hanno abilità molto diversificate. Il digitale e l’IA secondo la ricerca, consentono il distanziamento sociale, tutelando il lavoro. In realtà consentono anche di immaginare sistemi di organizzazione del lavoro che limitino la prossimità non solo con le persone, ma anche con le macchine e i luoghi di lavoro.

I nostri sistemi di protezione sociale e le tutele contrattuali si basano su sistema su un’occupazione a salario stabile, definizioni chiare del datore di lavoro, delle sue responsabilità e del rapporto di lavoro e una previsione di data di pensionamento. Questo approccio, tuttavia, riguarda un numero sempre più ridotto di persone e ne lascia fuori un numero crescente, poiché la natura mutevole del lavoro sconvolge proprio la capacità regolatoria delle normative tradizionali. La tecnologia sposta la domanda di benefici per i lavoratori da parte dei datori di lavoro verso prestazioni che tutelino le discontinuità occupazionali e di reddito e, soprattutto, il diritto soggettivo alla formazione, di qualità e lungo tutta la vita lavorativa. L’orizzonte full time, a tempo indeterminato, non solo è una promessa tradita ma lascia fuori da ogni diritto tutti gli altri.

Marco Bentivogli è Coordinatore Base Italia Nazionale, esperto di politiche del lavoro e innovazione industriale. 

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