Il Mar Cinese Meridionale e il futuro dell’ordine globale (di Richard J. Heydarian) 

16-12-2021 | Studio

Situato nel cuore dell'Asia, questo mare contesissimo e ricco di risorse non è solo un'arteria vitale del commercio internazionale, attraverso cui passano ogni anno merci per quasi 5 trilioni di dollari, ma anche l'epicentro della rivalità tra le superpotenze. In particolare, tra una Cina sempre più assertiva e gli Stati Uniti, in relativo declino. L'articolo ripreso da Macrotrends 2021-2022.

di Richard J. Heydarian 

Se c’è un focolaio geopolitico potenzialmente in grado di scatenare un conflitto veramente globale, è senza dubbio il Mar Cinese Meridionale. È qui che l’inimmaginabile comincia ad assomigliare all’inevitabile, perché tutta una serie di nazioni camminano inconsciamente verso una rovinosa resa dei conti. Situato nel cuore dell’Asia, questo mare contesissimo e ricco di risorse non è solo un’arteria vitale del commercio internazionale, attraverso cui passano ogni anno merci per quasi 5 trilioni di dollari, ma anche l’epicentro della rivalità tra le superpotenze. Il Mar Cinese Meridionale è il luogo in cui i parametri della “nuova guerra fredda” cino-americana appaiono più evidenti e, di conseguenza, profondamente inquietanti. Ma soprattutto, è qui che il desiderio subliminale di supremazia della Cina è pienamente visibile, con conseguenze potenzialmente nefaste per i suoi vicini, molto più piccoli ed estremamente vulnerabili. 

La quiete che precede la tempesta 

Fino a poco tempo fa, il tratto di mare oggetto della contesa era una parte del mondo relativamente oscura, circondata da una consorteria di Paesi apparentemente pacifisti e decisamente mercantilisti. Con la fine della lunga guerra fredda, che in Asia è costata milioni di vite, lo sviluppo economico è diventato un’autentica ossessione per la governance regionale e per la politica nazionale della regione. Singapore è diventato uno snodo fondamentale per il commercio globale, dove arrivano merci per trilioni di dollari attraverso gli Stretti di Malacca, mentre la Thailandia si è trasformata nella “Detroit asiatica”, che sforna milioni di automobili per conto di produttori giapponesi. Nel frattempo, Malaysia, Indonesia, Filippine e più recentemente anche il Vietnam, si sono meritati l’appellativo “Cuccioli di tigre” dopo anni di crescita a tassi superiori alla media. 

Intanto, la Cina post-maoista ha conosciuto la più grande espansione capitalistica nella storia dell’umanità, facendo uscire centinaia di milioni di persone dalla povertà nel giro di una sola generazione. Sulle ali di un nuovo spirito improntato all’ottimismo e all’audacia, l’Association of Southeast Asian Nations (ASEAN) si è impegnata a creare un ordine più inclusivo, stabile e prospero nella più vasta regione dell’Asia orientale. 

L’ASEAN Regional Forum (ARF), per esempio, ha messo a disposizione una piattaforma senza precedenti per un dialogo costruttivo e istituzionalizzato tra tutte le grandi potenze, inclusi Stati Uniti, Cina, Giappone, India, Australia, Unione Europea e più recentemente anche Russia. Grazie all’ASEAN Free Trade Area e alla piattaforma ASEAN Plus Three (che include Cina, Giappone e Corea del Sud), questo forum regionale è sempre più convinto di poter creare un’economia pan-asiatica e un blocco geopolitico. La conseguenza della sua esuberanza strategica è la costituzione della tanto decantata Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), che include 15 tra i Paesi più grandi e promettenti della regione, con la sola eccezione dell’India.  Non è passato molto tempo prima che cominciassero a formarsi delle crepe in questo clima apparente di amicizia e cooperazione. La concatenazione di vari fattori – l’affermazione del nazionalismo popolare e del revanscismo territoriale, la competizione su preziose risorse energetiche e sulle riserve di pesca, e la rapida ascesa della Cina che ha messo in crisi l’equilibrio di potere regionale – ha trasformato le acque ingannevolmente calme del Mar Cinese Meridionale in una polveriera.

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