Pago perciò uso

28-04-2023 | News

I trend in atto vedono un ridimensionamento della proprietà privata a favore dell’uso temporaneo e in condivisione di oggetti, luoghi ed esperienze. Una nuova realtà che cresce anche mondo nelle imprese.

Foto di Samuele Errico Piccarini su Unsplash

Negli ultimi anni il mondo è cambiato in modi molto diversi, ma una tendenza che si è molto rafforzata, e che proseguirà anche in futuro, è quella che vede il passaggio dalla proprietà all’utilizzo temporaneo. In campo aziendale questa tendenza è nota come “servitizzazione” e sta a indicare la proposta di un’azienda al mercato di un prodotto unito al servizio, a volte venduto come tale e altre volte offerto sulla base di un canone regolare oppure per quota di utilizzo (o pay-per-use). Ne parla in modo molto competente un recente libro intitolato, appunto, Servitizzazione, con il sottotitolo Dal prodotto al servizio. Per un futuro sostenibile senza limiti alla crescita, di Roberto Siagri (Guerini Editore).

Su questi temi è da segnalare anche un interessante e completo articolo di Giuliana Coccia in Futura Network, dal titolo “Dal possesso al semplice utilizzo: cambiano le preferenze dei consumatori?”, che sottolinea come anche il nostro Paese in passato si fosse sviluppata l’economia del possesso: le persone per utilizzare un bene non potevano far altro che acquistarlo (automobile, cassette DVD, libri, strumenti musicali, utensili ecc.). Inoltre, il possesso a volte è collegato all’ostentazione di oggetti lussuosi, comportamenti inclusi e in larga parte accettati dalla società come espressione visibile della posizione sociale, che perseguono la “massimizzazione del prestigio” anziché “la massimizzazione dell’utilità”. Queste scelte hanno stimolato nello stesso tempocomportamenti emulatividelle classi meno abbienti, che aspirano anch’esse agli stessi beni “vistosi”, per simulare, uno status sociale esteriore opulento e superiore a quello reale, che li avvicini alle classi economiche dominanti.

Oggi, però, molte cose stanno cambiando. Per esempio un’automobile di proprietà rimane inutilizzata per oltre il 90 % del suo tempo di vita e molte delle cose che abbiamo in casa vengono usate solo saltuariamente. È stato calcolato invece come un’auto in car-sharing  possa essere usata fino al 40% del suo tempo vita. Occorre dunque imparare a identificare e soddisfare le nostre vere necessità, piuttosto che puntare a possedere indiscriminatamente. Dobbiamo abbandonare l’idea che il possesso di beni sia un simbolo di status sociale e riconoscere che il nostro vero valore sta nelle nostre azioni e relazioni, dice Coccia.

Il futuro prospetta nuove forme di consumo che, seppure ancora non diffuse ampiamente, cambieranno radicalmente il concetto di possesso e il comportamento degli individui: stiamo assistendo alla nascita del cittadino leggero, un nuovo tipo di consumatore che cerca di utilizzare i beni come servizio, piuttosto che possederli. Infatti, il servizio tenden sempre più a sostituire il possesso. Walter Stahel già negli anni 80 aveva ipotizzato l’idea di sostituire il possesso di un prodotto con il suo utilizzo come servizio, teorizzando  un’economia in cui persone e aziende piuttosto che acquistare prodotti, li usano grazie a contratti di locazione, pay-per-use o pay-for-performance, proprietà collettiva, piattaforme di condivisione.

Il concetto di Product-as-Service (PaaS), ossia “servitizzazione”, indica un modello di business in crescita basato sulla sottoscrizione di abbonamenti che consentono la fruizione e il consumo di beni e servizi. Gli utenti ottengono l’accesso e il servizio di tali oggetti, con contratti di noleggio, locazione o condivisione che includono anche i servizi di manutenzione, consegna e ritiro. Questo ha modificato il modo di utilizzare i beni che, da prodotti di proprietà esclusiva, vengono utilizzati sotto forma di servizi cambiando le abitudini delle persone che preferiscono godere di unbene on-demand, solo per il tempo dell’abbonamento. I consumatori usufruiscono così di mobilità, aria condizionata, cicli di lavaggio, ma non sono i proprietari di automobili di condizionatori o di lavatrici. Con il vantaggio di disporre di un enorme catalogo di servizi rinnovabili a seconda del mutamento delle esigenze.

L’articolo di Coccia analizza anche chi e in che modo gli individui si orientano verso questi nuovi modelli di consumo, riportando l’esistenza di cinque distinti gruppi di consumatori, a seconda delle generazioni e delle caratteristiche comuni più rilevanti.

Si parte dalla generazione over 55 dei baby boomer, che rappresenta il 24,3% della popolazione italiana e comprende i nati tra 1946 e il 1964, prima della diffusione massiva delle tecnologie digitali. Queste persone che hanno ancora difficoltà con i nuovi strumenti e comunicano principalmente tramite telefono sono i maggiori consumatori di media tradizionali come televisione, radio, riviste e giornali. Per quanto riguarda le proprietà, gli over 55 sono tra i principali possessori di una macchina di media cilindrata e di una casa di proprietà. Pertanto, presentano una bassa penetrazione di servizi di mobilità – solo il 22% utilizza questo tipo di servizi-. Hanno buona capacità di spesa e, soprattutto gli uomini, tendono a essere più responsabili nelle decisioni di acquisto delle nuove categorie di beni e servizi rispetto a quelli tradizionali.

Viene poi la generazione X, il 23,6% della popolazione, composta dai nati tra il 1965 e il 1979. Definiti Digital Adopters, è di fatto l’ultima generazione “non-digitale”, perché gli anni della formazione sono avvenuti prima della nascita del web, hanno vissuto il momento globale della globalizzazione. Utilizzano prevalentemente le email, navigano molto in Internet e fruiscono molti contenuti online. Sono persone indipendenti, con propensione all’innovazione e con notevoli capacità comunicative. Consumatori consapevoli prestano attenzione alla salute e alla sostenibilità.

Sono i Millennials rappresentano il 17,3% della popolazione e sono i nati tra il 1980 ed il 1994. Definiti anche Nativi Digitali sono nati e cresciuti con gli strumenti tecnologici, utilizzano principalmente il cellulare, sempre connessi e comunicano tramite messaggi istantanei. Condivisione è la loro parola d’ordine: condividono case, mezzi di trasporto e la loro vita sui social network. Anche professionalmente sono molto collaborativi e focalizzati sul bene comune, oltre ad essere esperti di tecnologia e mondo digitale. I Millenial preferiscono accedere ai servizi in tempo reale e al momento del bisogno come per i servizi di car sharing o di food delivery.

Infine, la Gen Z, cioè i nati tra il 1995 e il 2010, che sono il rimanente 15% della popolazione italiana. Si parla di Digital Innates, per i quali la tecnologia è un “linguaggio” innato e naturale dalla più tenera età. Cresciuti nel pieno boom di Internet, credono che la tecnologia possa contribuire attivamente a migliorare il mondo. Prediligono i social come forma di comunicazione, anche lavorativa, e la tecnologia è una parte fondamentale della loro vita. Passano parte del loro tempo a sentire e condividere musica in streaming. Per la loro età dipendono ancora dai genitori: si muovono con la loro auto e vivono nella loro casa, non fanno acquisti on line avendo una ridotta capacità di spesa. La Generazione Z è caratterizzata da capacità di multitasking e, professionalmente parlando, da un migliore rendimento in gruppi di lavoro misti. È una generazione abituata al bombardamento dei social e dell’informazione digitale, impaziente di non perdere le opportunità. Non desidera possedere beni, preferisce piuttosto aver accesso a un servizio che crei valore (video streaming, servizi di car-riding). I prodotti diventano servizi e i servizi connettono i consumatori.

Secondo l’articolo di Coccia, Millennial e Generazione Z cercano anche di fare acquisti più consapevoli. Oltre che per i mezzi di trasporto, la sharing economy si addentra anche nell’armadio di casa: tre giovani su dieci dichiarano di essere disposti a condividere con altri calzature, borse, gioielli e abbigliamento. La Gen Z costituirà la metà dei consumatori globali nel futuro, una circostanza non irrilevante, con una potenziale popolazione che farà crescere l’economia peer-to-peer, che svaluta la proprietà privata a favore della condivisione tra pari di oggetti, luoghi ed esperienze. L’Università Niccolò Cusano ha stimato una crescita per il 2025 delle transazioni fino a 300 miliardi di euro e le maggiori potenzialità di espansione riguarderanno i servizi legati al turismo.

Il cambio dei comportamenti di consumo non ha interessato solamente i singoli cittadini ma anche le aziende. I primi esempi in questo ambito sono stati i servizi di noleggio e di leasing delle auto aziendali. Successivamente si è diffuso il noleggio a lungo termine di cellulari e computer, che garantisce non solo di utilizzare il bene, ma anche di avere una continua assistenza tecnica.

La diffusione di Internet, e l’uso dei big data, hanno reso più facile mettere insieme domanda e offerta attraverso piattaforme online o app per smartphone. In Italia la diffusione della sharing economy è ancora lontana dai livelli che ha raggiunto in altri Paesi Ue o negli Usa, ma è in forte sviluppo. Nelle maggiori città italiane è possibile acquistare servizi per l’utilizzo di beni, tra i quali assumono sempre maggiore diffusione i prodotti per i bambini (passeggini, abbigliamento, giocattoli, ecc.). Tuttavia il territorio italiano è caratterizzato dalla presenza di piccolissimi comuni nei quali manca ancora la disponibilità di una buona connessione internet e dove è difficile soddisfare questi nuovi modelli di consumo. La preoccupazione riguarda il rischio di un aumento delle disuguaglianze territoriali anche da questo punto di vista, con la mancata diffusione di nuovi tipi di consumo degli individui che non riescono ad accedere a nuovi servizi, con la conseguente esclusione da un nuovo mercato innovativo, conveniente e sostenibile.

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