L’Italia ha voglia di ripartire. Le attività non vedono l’ora di riaprire, le persone di uscire di casa, come si faceva “prima”. Ma il rischio di contagio c’è ancora, insieme alla paura di dover richiudere tutto e tornare alla quarantena a causa di un nuovo aumento dei positivi al Covid-19 – il cosiddetto effetto Hong Kong. Per gestire la nuova e probabilmente lunga fase di convivenza con il virus è necessario attivare nuove misure, come ha sottolineato l’Oms: alcune altamente tecnologiche come le app di contact tracing, che, se installate sui telefoni cellulari di una larga fetta di popolazione, possono comunicare tra di loro e tracciare le persone positive, aiutare ad avere più chiaro il panorama epidemiologico e limitare al massimo i nuovi contagi.
Immuni, la scelta italiana
Il governo italiano, dopo aver lanciato un bando a cui hanno partecipato oltre 800 progetti, ha scelto l’app Immuni sviluppata da Bending Spoons, software house con sede a Milano, tra le prime dieci aziende al mondo per numero di download, con oltre 200 milioni di app scaricate in totale e 270 mila nuovi utenti al giorno. L’applicazione è disponibile per il download su dispositivi iOS e Android e dal 15 giugno è operativa in tutta Italia. Al contrario di quanto diversi commentatori avevano paventato, non raccoglierà alcun dato personale o di geolocalizzazione: sfrutterà la tecnologia Bluetooth low energy per tenere traccia dei contatti a cui l’utente è stato vicino e comunicherà all’utente stesso se sarà stato esposto al rischio contagio.
La app sarà a download gratuito e la scelta di utilizzare o meno l’app sarà su base volontaria: nessuna distopia tecnocratica orwelliana, o almeno, non ancora. A differenza della Cina, ad esempio, dove il governo ha messo a punto un sistema di QR code che incrociano i dati sulla salute di ogni cittadino con la geolocalizzazione dei suoi spostamenti. Un sistema di fatto obbligatorio: all’ingresso di ogni posto di lavoro, negozio o mezzo pubblico è richiesto di passare lo smartphone su un QR code. Se la risposta è un codice verde si ottiene il via libera, se invece il codice è rosso, l’ingresso è negato. Ma a questo proposito la domanda sorge spontanea: qual è la percentuale minima di popolazione che deve scaricare l’app, perché funzioni a dovere? Secondo il ministero per l’Innovazione tecnologica e il Garante della privacy, per essere efficace Immuni dovrebbe essere adottata almeno dal 60-70% degli italiani, circa 36 milioni di persone. Un numero molto grande e difficile da raggiungere, da cui rischia di essere tagliata fuori un’ampia fascia di popolazione anziana, la meno abituata a usare la tecnologia e anche la più a rischio di fronte al virus.
Proprio la diffusione della app in altri Paesi si è rivelato l’ostacolo maggiore all’efficacia del contact tracing: Singapore ad esempio l’app di tracing locale si è rivelata un flop, essendo stata scaricata solo dal 12% della popolazione. Tuttavia, rassicura il ministero dell’Innovazione nelle Faq pubblicate sul suo sito l’11 maggio, anche se non si dovesse arrivare alle percentuali sperate di download Immuni dovrebbe comunque essere uno strumento in grado di rallentare l’epidemia, diminuendo la pressione sul Servizio sanitario nazionale e permettendo ai malati di ricevere cure migliori. Tra le varie ipotesi prese in considerazione per aumentare i download c’era quella di abbinarla all’autocertificazione coronavirus, rendendola obbligatoria per chi volesse superare le limitazioni di mobilità imposte dalla fase 2.
Raccolta dati, due modelli a confronto
Un’altra incognita riguarda il tipo di modello di raccolta dei dati: centralizzato o decentralizzato? Il governo italiano, per aumentare la privacy e la sicurezza dei dati e per non rischiare errori di funzionamento con dispositivi Apple e Google, ha scelto un modello decentralizzato del sistema di calcolo, abbracciando il framework, o meglio, l’API (application programming interface) rilasciata a inizio maggio dai due giganti del tech, in costante aggiornamento. Il 20 maggio è stato annunciato il rilascio del sistema di «notifiche di esposizione» che ogni utente potrà scegliere se attivare o meno sul proprio dispositivo, sia su sistema operativo iOS che su Android. L’API è l’intelaiatura con cui ogni stato – per ora sono 22 i paesi aderenti – può costruire la propria app di tracing, seguendo i dettami di Apple e Google.
La scelta di un modello decentralizzato non è stata condivisa da tutti. Secondo questa scuola i dati di contatto e le chiavi con cui renderli potenzialmente identificabili non vengono stoccati su server dislocati nel territorio nazionale, ma direttamente nei singoli dispositivi: quando due smartphone si trovano vicini, si scambiano i dati anonimi – una lista di numeri – generati dall’app e in nessun modo collegabili alla persona. Il modello centralizzato, adottato ad esempio dall’app Coronavirus Outbreak Control, che si è posizionata seconda nel bando del governo italiano, sarebbe secondo alcuni più efficace perché permetterebbe un migliore controllo sui dati e la possibilità di tracciare anche gli asintomatici.
La discussione in merito a quale modello adottare si è accesa un po’ in tutto il mondo. In Francia il governo è fermamente convinto del modello centralizzato. Cédric O, segretario di stato per il settore digitale del governo Francese, ha duramente attaccato Apple affermando che l’azienda californiana avrebbe potuto aiutare l’esecutivo a sviluppare l’app di tracing – chiamata StopCovid – ma avrebbe deliberatamente deciso di non farlo. Anche il Regno Unito ha finora seguito il modello centralizzato, sviluppando NHS Covid-19 – già testata con successo nell’isola di Wight -, app più invadente, rispetto alla versione italiana, e che sta iniziando a mostrare lacune nel garantire la privacy e problemi di compatibilità con le versioni più aggiornate di iPhone e dei sistemi Android. Il governo ha quindi lasciato aperta la possibilità di convertirsi al framework Apple-Google e passare al modello decentralizzato.
Giacomo Porra