Con il caldo estremo, non possiamo più costruire come in passato. Le città di tutto il mondo cercano soluzioni per migliorare la loro resilienza. E si torna a preferire il legno rispetto a mattoni e acciaio.
Di Andrea De Tommasi
Instabilità delle strade e deterioramento degli edifici. Binari del treno deformati, come accaduto a La Spezia e a Padova. Rigonfiamento dei ponti. Fino al caso di Chongqing, in Cina, dove le tegole del tetto del museo si sono sciolte con le alte temperature. Questi sono solo alcuni degli effetti che il caldo estremo ha avuto sulle infrastrutture critiche delle città negli ultimi anni, da quando le ondate di calore sono diventate più frequenti e intense. Un chiaro segnale, dicono gli esperti, della necessità di adattarsi rapidamente a un pianeta in riscaldamento.
In questo quadro, gli ingegneri e i progettisti stanno spingendo per modifiche al design degli edifici, ha riferito il Wall Street Journal. Sempre più studi e ricerche confermano, infatti, che gli standard non tengono il passo con il riscaldamento climatico. Il calore estremo può logorare gli edifici: sigillanti, colle e adesivi a base di polimeri che tengono insieme tubi e finestre potrebbero rompersi a temperature estreme. E il rischio non è soltanto per materiali da costruzione come l’acciaio e il cemento armato, con quest’ultimo che potrebbe avere una durata più breve per via di caldo e umidità (mentre si lavora sul calcestruzzo prodotto da materiali vegetali). Un’altra preoccupazione riguarda i grattacieli in vetro e acciaio: il modo in cui gli edifici con facciate in vetro riflettono la luce solare, infatti, può aumentare le temperature nelle città circostanti fino a sette gradi Fahrenheit durante il giorno, dicono gli esperti.
“Il problema, soprattutto per le città mediterranee che quest’estate hanno affrontato temperature torride, è che molti nuovi edifici sono stati costruiti utilizzando stili occidentali”, ha affermato Marialena Nicolopoulou, professoressa di architettura sostenibile all’Università del Kent in Inghilterra. “Gli edifici moderni e alti e l’uso di materiali come l’asfalto per le strade intrappolano il calore, contribuendo all’effetto ‘isola di calore’, in cui le città sono più calde delle aree rurali circostanti”.
Un tema che riguarda da vicino anche l’Italia, come conferma una ricerca pubblicata poche settimane fa sulla rivista Urbane climate. L’analisi, che ha avuto come capofila la Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), si è concentrata sulla complessità del fenomeno dell’isola di calore urbano nella città di Torino, valutando i rischi che comporta per la vita urbana, ecologica, sociale e individuale dei cittadini. Il livello di rischio più basso si registra nei parchi, dimostrando il ruolo indispensabile delle aree verdi nella riduzione del calore. La pericolosità più alta, invece, è stata misurata nelle periferie e, in queste, nelle zone densamente popolate.
Also un altro studio recente, questa volta condotto a Philadelphia, ha rilevato che gli alberi hanno un effetto di raffreddamento sulla temperatura dell’aria esterna nonché, in generale, sui livelli di confort termico. Ma c’è di più: i ricercatori hanno scoperto che i marciapiedi che riflettono meglio la luce solare o hanno un “albedo” (frazione di luce riflessa da un corpo) più elevato possono creare un effetto rinfrescante nei centri urbani lontano dal verde.
Anche le infrastrutture per la mobilità, il trasporto, la logistica e l’energia sono esposte alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Come sottolinea il Rapporto “Cambiamenti climatici, infrastrutture e mobilità” pubblicato nel 2022 dall’allora ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili (Mims) retto all’epoca da Enrico Giovannini, ora direttore scientifico dell’ASviS, a oggi la maggior parte dei danni per rischi climatici è associata alle esondazioni fluviali. Tra il 2041 e il 2070, tuttavia, saranno la siccità e le ondate di calore le cause principali. Occorrono politiche di adattamento ai cambiamenti climatici che tengano conto di queste tendenze.
In caso contrario il prezzo da pagare sarà molto alto. Secondo le stime del Rapporto del Mims, con uno scenario di aumento della temperatura poco sotto i tre gradi, in Italia l’impatto economico diretto sulle infrastrutture causato dagli eventi estremi, come ondate di calore e freddo, siccità e incendi, sarebbe pari a due miliardi annui fino al 2030 e circa cinque miliardi annui al 2050.
Pericoli in profondità
C’è, tuttavia, un “pericolo silenzioso” in agguato sotto le nostre città, e i nostri edifici non sono stati progettati per gestirlo. Si tratta di un fenomeno noto come “cambiamento climatico sotterraneo” e a descriverlo è stato per la prima volta uno studio pubblicato l’11 luglio on Communications engineering, una rivista di Nature. “Se pensi a scantinati, parcheggi, tunnel e treni, tutte queste strutture emettono continuamente calore”, ha spiegato Alessandro Rotta Loria, professore della Northwestern University e autore principale della ricerca. “In generale, le città sono più calde delle zone rurali perché i materiali da costruzione intrappolano periodicamente il calore derivato dall’attività umana e dalla radiazione solare e poi lo rilasciano nell’atmosfera. Questo processo è stato studiato per decenni. Ora stiamo esaminando la sua controparte sotterranea, che è principalmente guidata dall’attività antropogenica”.
Negli ultimi anni, Rotta Loria e il suo team hanno installato una rete wireless di oltre 150 sensori di temperatura lungo il Chicago Loop, il centro storico di Chicago, sia in superficie che sottoterra. I dati hanno indicato che le temperature dell’aria nelle strutture sotterranee possono essere fino a 25 gradi Celsius superiori rispetto alla temperatura del suolo. Quando il calore si diffonde verso il suolo, pone uno stress significativo sui materiali, che si espandono e si contraggono al variare delle temperature.
“Abbiamo usato Chicago come un laboratorio vivente, ma il cambiamento climatico sotterraneo è comune a quasi tutte le aree urbane dense del mondo“, ha aggiunto Rotta Loria. “E tutte le aree urbane che soffrono di cambiamenti climatici sotterranei tendono ad avere problemi con le infrastrutture”.
Le risposte
Qualcosa di può fare, prima che sia troppo tardi. Tetti innovativi, asfalto meno scuro, pavimentazione ridotta e parchi urbani, suggeriscono gli esperti. Ci sono città che hanno già attuato con successo alcune misure.
THEBlue green roofs(tetti blu-verdi)installati in quattro quartieri di Amsterdam sono stati pensati per offrire una soluzione alle inondazioni urbane e all’effetto isola di calore. Grazie a uno strato di accumulo, quando piove l’acqua piovana non scorre verso il tubo di scarico, ma viene invece immagazzinata lì. Quindi fornisce gradualmente l’umidità del suolo necessaria per il verde del tetto, per le piante e gli alberi.
Roofscapes, una startup fondata da tre studenti del Mit, sta progettando di costruire spazi verdi sui tetti spioventi di Parigi, per abbassare le temperature migliorando la qualità della vita. “Le persone sono molto favorevoli all’idea che abbiamo sì un ambiente storico, ma poiché il clima cambia drasticamente, il nostro patrimonio edilizio non funziona più come funzionava nel 19esimo secolo. Deve essere adattato, ed è quello che stiamo facendo”.
In Finlandia, dove c’è meno preoccupazione per gli incendi rispetto ad altre parti del mondo, l’edilizia guarda con sempre più convinzione al legno in sostituzione di materiali tradizionali come cemento e acciaio. Nel centro di Helsinki c’è un quartiere in legno di recente costruzione, Wood city, che si estende su una superficie di circa 34mila mq e comprende due edifici residenziali, una palazzina, uffici, negozi e un hotel. “Può davvero aiutarci con il cambiamento climatico”, ha affermato Ali Amiri, ricercatore nel campo dell’edilizia sostenibile presso l’Aalto University e ingegnere civile. “Se facciamo il confronto tra gli edifici in legno e altri edifici in cemento o acciaio o persino gli edifici in mattoni, [il legno ha] qualcosa come il 20 o anche il 30% in meno di emissioni di gas serra. Questa è un’ottima notizia”.
Piccole o grandi misure che potrebbero consentire alle città di non essere più, in estate, delle autentiche trappole di calore. Come insegna Francoforte, che ha creato lunghi corridoi di ventilazione, o “Luftleitbahnen’”: tratti di terreno dove non ci sono edifici alti, o sorgono grandi distese di alberi, per aspirare aria più fresca dalle zone circostanti.
La natura come alleato, insomma, alla base della filosofia progettuale “Green Obsession” dell’architetto Stefano Boeri, che raccoglie 20 anni di progetti pensati per portare la natura vivente, in particolare alberi e foreste, nelle nostre città. Fiore all’occhiello è il Bosco Verticale di Milano, complesso ricoperto da 21mila piante. Una filosofia sempre più apprezzata, tanto da vincere gli SDG Action Awards, gli Oscar dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Onu, nella categoria “Inpire”.
E anche gli eventi del passato possono diventare la spinta per anticipare e ridurre le minacce futura, come insegna Copenaghen, la capitale danese che si è confermata come la città più sostenibile del mondo secondo l’ultimo Environmental performance index. La ricetta qui è stata di investimenti nel trasporto sostenibile, enormi spazi verdi all’interno della città, e soprattutto il “Piano di gestione dei Cloudburst”, che mira a ridurre il rischio di inondazioni attraverso parchi, laghi e altre aree green che possono aiutare ad assorbire l’acqua in caso di forti piogge. Il piano è stato realizzato a seguito di un grave evento alluvionale che ha colpito la città nel 2011 e che ha causato danni ingenti. Mentre Oltreoceano è New York a distinguersi nel campo della resilienza climatica, con un vasto piano per aumentare la copertura degli alberi, migliorare la gestione delle acque piovane, e ridurre il consumo energetico negli edifici pubblici.
Le soluzioni che sviluppiamo oggi ci aiuteranno anche a costruire le città del futuro. E lo scrittore Herbert George Wells sintetizzava: “Adattarsi, o morire, è l’inesorabile imperativo della natura”.